Domenica 1° settembre, Comenduno ha vissuto momenti significativi per il commovente saluto a don Alfio Signorini, nominato nuovo parroco di Gandosso. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare i suoi sette anni alla guida della comunità cristiana comendunese.
Che tempo è stato?
«Sicuramente arricchente, si è trattata della mia terza esperienza pastorale dopo i primi dieci anni
all’oratorio di Torre Boldone, seguiti da altri dieci come parroco a Branzi in alta Valle Brembana. Tappe che mi hanno attrezzato dal punto di vista pastorale».
Come sei stato accolto?
«Ho subito percepito affetto spontaneo e sincero, ho trovato una parrocchia molto vivace dal punto di vista delle associazioni, del volontariato e un territorio, Albino e la Valle Seriana, molto ricco e dinamico, dall’economia
al sociale. Comenduno è una realtà che ha proprio una sua identità di paese, non è zona di passaggio, capisci che c’è una rete di relazioni familiari molto strette, ben annodate, che danno forma a una comunità che trova nell’oratorio casa, e si impegna dentro nell’oratorio come luogo di crescita. Oratorio, scuola dell’infanzia, chiesa parrocchiale, polisportiva Marinelli… ho visto luoghi in cui la comunità dà forma e
visibilità a quello che è il suo esistere. Ho incontrato persone molto generose impegnate in diversi ambienti».
Raccontaci Comenduno…
«Comenduno è una comunità affettuosa, generosa e accogliente, tre aggettivi che la definiscono bene».
Partiamo dal primo. L’affetto.
«Fin da subito ho sentito l’affetto per don Diego che andava, ma allo stesso tempo ho trovato anche affetto nei miei confronti e ho intuito che era legato al fatto che ero il loro parroco. Il tuo ruolo di prete per loro è importante e, se vogliamo, è anche nella storia di Comenduno che nasce staccandosi da Desenzano, chiedendo con forza di avere un suo parroco. Forse, nelle radici profonde di questa comunità c’è l’idea che “il nostro prete è il nostro prete” al di là che ti chiami don Diego, don Guglielmo, don Alfio: si vuole bene al prete del paese. Lo dimostrano anche le storie dei sacerdoti originari di Comenduno, come quella recente del vescovo don Lino Belotti, piuttosto che quella più lontana di mons. Giosuè Signori, che hanno dato forma all’affetto attorno al prete».
La generosità.
«È una comunità generosa nel senso dell’impegno dentro il volontariato e nel tempo che viene dedicato ai bisogni, ma anche a livello economico dentro quelle che sono le necessità della parrocchia, dall’aiuto alle situazioni di bisogno, alla manutenzione e ristrutturazione degli edifici. Grazie a don Diego, quando sono arrivato ho trovato già un po’ tutto in ordine».
Infine, l’accoglienza.
«È comunità accogliente. Ha fatto delle emergenze, in particolare del fenomeno migratorio, una cifra dell’essere cristiani a Comenduno.
La nostra comunità, già oltre trent’anni fa, si fece disponibile a dare una mano quando ci fu bisogno di dare risposta ai primi significativi fenomeni migratori, parlo degli albanesi e dei bosniaci che venivano in Italia. Successivamente, dentro il fenomeno migratorio sulle rotte africane e poi afghane e da ultimo quelle ucraine, l’appartamento dell’ex curato venne messo a disposizione della Caritas diocesana affinché fosse strumento per dare risposta a questo fenomeno così complesso. Attualmente, da un anno, accogliamo una famiglia ucraina, seconda fase dell’accoglienza ucraina dopo quella dell’emergenza dove furono tre le famiglie accolte. Questa accoglienza, così articolata nel tempo, ha permesso a diversi volontari (che si coordinano nel “gruppo accoglienza”) d’imparare un po’ il mestiere di educatori nell’emergenza migratoria, si sono dati molto da fare nel formarsi e nell’operare offrendo un servizio qualitativo nelle relazioni e nel supporto concreto ai migranti accolti; fatti che hanno permesso a noi tutti di aprire il cuore e la mente a questi temi, aiutandoci a formare una coscienza critica e un’autorevolezza di pensiero su queste complesse questioni per non essere schiavi del vento come tira o del politico che parla meglio».
Quanti volontari collaborano con la parrocchia?
«Nei giorni della recente festa dell’oratorio, almeno un centinaio di loro si sono impegnanti in una serie di servizi: dalla cucina alle pulizie, fino all’animazione. Sono una cifra indicativa di un volontariato sotterraneo che a volte non valorizziamo che è quello casalingo di chi va trovare i malati, di chi si prende cura degli anziani piuttosto che di chi accudisce i più piccoli o aiuta a fare i compiti. A Comenduno c’è una mentalità di servizio, nel tempo libero, nel bisogno. Non mi pare di vedere in giro famiglie e persone sole perché nessuno le guarda, c’è una rete che se ne prende un po’ cura».
Di Comenduno cosa porterai nel cuore?
«Sicuramente tanto affetto sincero e tante belle relazioni di amicizia nate dentro l’oratorio, dentro i gruppi e pure dentro le nostre celebrazioni liturgiche dove spezzare il pane della Parola ha permesso anche di far crescere alcuni pensieri e confronti intorno al modo di essere cristiani in questa società. Porto con me sicuramente l’esperienza forte del Covid che è stato un po’ l’epicentro di questi sette anni; se dovessi indicare un punto di svolta del mio servizio pastorale lo pongo nel 2020 quando in Val Seriana la pandemia ci ha travolti un po’ tutti; ho sentito di essere pastore, parroco, di dare qualche consiglio, di dare ascolto o aiuto a chi portava dei dolori improvvisi, inaspettati, che mi confidava in una telefonata o suonava al campanello di casa chiedendomi di pregare per il nonno o per la mamma che era in ospedale.
Ho raccolto tanta sofferenza, ma anche il riconoscimento di chi cercava delle risposte dentro l’inconcepibile. Ho sentito questa responsabilità e ho trovato legame con tante storie di sofferenza di tante persone, sono tutte storie di amicizia come anche quelle con le coppie di cui ho celebrato il matrimonio o il battesimo dei figli, nascevano così nuove storie di amicizia sincera».
Grazie don Alfio per il tuo grande impegno, per le tue aperture di pensiero, per la tua testimonianza, per la tua allegria.
Buon cammino
Fabio Gualandris