Un libro per chi, ogni giorno, nella sua professione o relazione, si prende cura di persone con malattia, disabilità o disagi fisici o psichici. Una guida per ogni professionista che si occupa di relazioni di cura, perché la relazione è il luogo della cura, luogo inteso come “centro”. In un libro, pubblicato recentemente, dal titolo “IO-TI-VEDO”. Un viaggio fra cura e relazione”, il Dott. Simone Migliorati (pedagogista ed educatore professionale socio-pedagogico e formatore in ambito sociosanitario) e Stefano Cortinovis (infermiere, coordinatore infermieristico e manager per le Cure Primarie e Territoriali) spiegano che è possibile trasformare la cura in una esperienza di amore per l’altro, in una relazione che cura amorevolmente: vuoi nelle RSA, negli Hospice, nelle strutture cliniche ed ospedaliere del territorio. Utilizzando i loro cani, diffondendo benessere proprio attraverso la relazione con l’animale.

L’essere umano, nel corso della sua storia, si è allontanato dal concetto di “prendersi cura”, andando a focalizzare l’attenzione e l’intervento assistenziale e terapeutico (a qualsiasi livello), esclusivamente sul processo di “cura”, che talvolta appare fine a se stesso – sottolinea il Dott. Simone Migliorati – La differenza tra “cura” e “prendersi cura” affonda le sue radici dall’alba dei tempi, andando a “scomodare” discipline come la filosofia e l’etica, oltre che la medicina, le scienze infermieristiche, pedagogiche, educative e tutti i processi assistenziali. Lavorando ogni giorno in contesti di cura e di educazione specifici, io e Stefano ci siamo accorti di quanto spesso una manifestazione emotiva di una persona possa essere considerata come un “sintomo”, che pertanto andrebbe curato, piuttosto che come una modalità personale che il protagonista (concetto diverso da paziente) agisce per sentirsi visto. Questo avviene non solo per le persone e i protagonisti che non hanno difficoltà cognitive ma magari solo disagi o difficoltà temporanei, ma anche (e soprattutto!) in tutti quei contesti in cui operiamo con persone che hanno forti ed importanti compromissioni cognitive, che magari faticano a condividere con la voce e con le parole ciò che provano, quindi agiscono comportamenti, talvolta considerati “sbagliati” dal contesto sociale, ma che rivendicano il diritto della persona di “essere vista” e il dovere per il caregiver (colui che si prende cura) di “vedere la persona” che ha di fronte a sé, senza fermarsi alla diagnosi, al disagio, alla fatica o alla disabilità”.

I nostri maestri in questa “arte” del “prendersi cura” sono stati paradossalmente gli animali – continua il Dott. Migliorati – Come fondatori del Centro Italiano di Consulenza Relazionale B.A.U., infatti, siamo ogni giorno sul campo, in attività volte al benessere umano attraverso la relazione con gli animali. Tra le strutture in cui operiamo sottolineiamo le RSA, le case di riposo, i centri per persone con disabilità, i centri specifici per la malattia di Alzheimer, le aziende ospedaliere e i centri psicosociali, ma anche scuole di ogni ordine e grado, asili, scuole dell’infanzia e reparti hospice e cure palliative e strutture penitenziarie. In tutti questi contesti, così eterogenei, in cui la fragilità è la grande forza delle persone che incontriamo, i nostri cani ci hanno insegnato ad osservare le persone in quanto tali, senza limitarci alla loro difficoltà. Patch Adams, fondatore della clownterapia, insegnava proprio il valore dell’andare oltre, del “guardare oltre” i limiti della persona, per vedere l’essenza della persona stessa, accompagnandola e supportandola nel suo desiderio e bisogno primario di sentirsi riconosciuta e vista. I cani hanno questa dote innata e per recuperare umanità abbiamo avuto bisogno di tornare a contattare la nostra parte più “animale”, che ci accomuna a tutti gli esseri viventi che abitano il nostro meraviglioso pianeta. Ci siamo resi conto, insomma, di quanto sia innato in ogni essere umano il bisogno di essere visto per quello che realmente egli è, quindi accolto, accompagnato e soprattutto accettato. Quando riusciamo a compiere questo “viaggio metaforico” dentro l’altro allora realmente riusciamo ad intraprendere un vero percorso che sia connotato dal “prendersi cura”. Questo tipo di viaggio, con la consapevolezza che ci permetterà di contattare, non solo farà sentire realmente compreso l’altro nell’accezione “IO-TI-VEDO”, ma permetterà al professionista di uscire da questo percorso arricchito, rinnovato, con nuove consapevolezze. Prendersi cura richiede di intraprendere un percorso di contaminazione con l’altro che ci metterà costantemente in discussione, favorendo la nostra crescita”.

 

T.P.