L’ antico Oratorio di S. Croce VIIª puntata

Nella piazzetta di Rova termina il percorso ad anello sui colli di Gazzaniga, sia che si scenda da S. Rocco, sia che si torni da Campello dopo aver visitato la grotta preistorica. Qui è opportuno soffermarsi, prima di rientrare in Gazzaniga, per osservare alcune testimonianze storiche e geologiche. Fra queste ultime è di notevole interesse l’affioramento di begli esemplari di puddinga, che testimoniano notevoli residui del terrazzo fluvioglaciale formatosi coi depositi di ghiaia e ciottoli del F. Serio durante i periodi interglaciali dell’Era Quaternaria, da 1,8 milioni di anni fa a oggi e in gran parte cementificati. Questo terrazzo alto un centinaio di metri, solcato poi di nuovo dal fiume impetuoso dopo il ritiro del mare dal fiordo di Albino, è testimoniato ancora meglio nel parco di Comenduno dove ogni anno si costruisce il noto presepio. Qui il terrazzo era più basso, perché digradava verso il mare che arrivava fino all’attuale Albino

Sull’altura formata da questo conglomerato, in dialetto “córen”, si è saggiamente impostato il primo abitato di Rova nel medioevo, su solide basi, visto che per la trasformazione della puddinga in argilla ferrettizzata, come è avvenuto nelle parti superiori dei colli, passeranno diversi millenni,

La seconda cosa da vedere è una grotta preistorica che si trova poco sopra, lungo le valle di Rova, il così chiamato “Büs del Mago”. Si tratta di una cavità carsica molto prolungata, fino sotto S. Rocco, esplorata da archeologi che, esaminati i reperti riportati alla luce, l’hanno annoverata fra le grotte frequentate fin dal Neolitico.

Un’altra testimonianza da osservare è il segno rimasto dell’ antica fontana della piazza di Rova, che raccoglieva l’acqua del Fontanone, detto anche “Fontanì del Tu”. Era una vera e propria ‘fontana del villaggio’, protetta da portichetto, che si prestava ai vari usi dell’acqua, quali il bere, il lavare, dissetare il bestiame, e così via. Fu ristrutturata l’ultima volta nel 1837, e ora chissà perché è stata cancellata dalla crosta terrestre…e non può più essere un punto di incontro per tante persone.

Altri segni storici sono due lapidi: una, posta su una delle prime case di Via Manzoni, indica che lo scheletro-reliquia del martire romano S. Ippolito è stato per tre volte ospitato qui, una prima volta nel 1666 in preparazione del solenne corteo, con partenza dalla chiesa di S. Croce, per l’ingresso trionfale nella chiesa di S. Maria; la seconda durante i lavori di costruzione della chiesa parrocchiale, fino alla traslazione con processione solenne nel 1830, quando la chiesa di S.Maria divenne parrocchiale dedicata all’Assunta e a S. Ippolito; la terza volta alla solennità centenaria nel 1866.

L’altra lapide si vede all’inizio di via Card. Gusmini sul muro della casa opposta al lato sud della chiesetta e indica l’abitazione nei primi cinque anni di vita del futuro Cardinale di Bologna, S. E. Mons. Giorgio Gusmini (1855-1921), esponente attivo nell’applicazione della dottrina sociale della Chiesa, con Rezzara, Toniolo e altri.

Ma soprattutto a far soffermare l’attenzione è l’Oratorio di “S.Croce”. Per scoprire l’importanza di questo edificio religioso, ora detto di S. Mauro, occorre soffermarsi per almeno due – tre puntate.

Del primitivo ‘vicus’ de Róa’ nella plebania di Nembro ben poche sono le testimonianze sopravvissute alle successive ristrutturazioni, ma in gran parte cancellate anche dalle devastanti incursioni guelfe, essendo Gazzaniga, come gli altri sette comuni della Federazione di Honio, un comune ghibellino, cioè dalla parte del feudatario mandato dal vescovo, che possedeva qui diverse terre.Si può quindi solo immaginare una cappella nel piccolo borgo medioevale come l’avevano tutti i ‘vici’ della plebania.

Rimane invece chiara testimonianza la cappella costruita appena fuori del borgo murato in seguito al passaggio dei Comuni della Valle alla dominazione veneziana, dal 1428, quando nacque la nuova contrada sul fondo valle. Con l’espansione edilizia e demografica emerse anche l’esigenza di costruire nuove cappelle per un decentramento delle funzioni religiose. Questa cappella fu costruita tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 dove comincia la strada che sale al voltone d’ingresso al borgo, ma anche vicina all’antichissima strada romana detta ‘Via del ferro’ e poi “Strada maestra”.

La cappella era di modeste dimensioni, 3×3 m, a base quadrata e con la piccola volta a crociera. Ora è adibita a sacrestia, anzi, a metà sacrestia, cioè la parte con soffitto e pareti affrescati. Questi affreschi sono stati eseguiti intorno al 1520 dai fratelli Antonio e Bernardo figli di Giovanni Marinoni che avevano la bottega d’arte a Desenzano di Albino.

Sulla volta i dipinti sono stati eseguiti in cinque medaglie circolari: in quella centrale il Cristo pantocratore (ossia che benedice il mondo) e nelle quattro velette della crociera i dottori della Chiesa, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Gerolamo e S. Gregorio Magno. Sulla parete occidentale, sopra l’altare, eliminato in seguito all’ingrandimento della chiesa, rimane l’affresco, purtroppo con gravi lacune nella parte centrale ma leggibile, con la scena della Deposizione dalla Croce. Appaiono chiaramente le figure della Madonna al centro, col digramma sul petto, M e la A in mezzo, iniziali di Maria Addolorata che regge in grembo il Figlio morto, dei Santi Defendente e Antonio Abate a destra, dei Santi Giovanni e Rocco a sinistra.

La cappella era chiamata di S. Defendente, soldato romano e martire del IVº secolo, della legione Tebea come S. Alessandro.

Essa aveva solo due pareti: i lati est e nord erano chiusi con semplici cancelli, ma vi si celebrava la messa, anche se saltuariamente secondo le offerte devozionali, poichè la ‘fabrica’ non aveva ancora un patrimonio con rendite fisse destinate con obbligo di celebrazioni. Era però già governata autonomamente da reggenti eletti dagli abitanti della vicinia di Rova che amministravano le elemosine e le offerte.

La piccola cappella rimase inalterata fino alla visita apostolica di S. Carlo nel 1575, quando il severo cardinale riformatore ed esponete di spicco del Concilio di Trento giudicò la struttura religiosa inadatta alle celebrazioni eucaristiche e ordinò: “Si rimuova l’altare entro tre giorni e non si celebri ulteriormente in detto oratorio se prima non sarà chiuso con muro da ogni parte”.

Per altri 50 anni risulta ancora “un oratorio serato con ferata et vi si celebra una o due volte l’anno”. Probabilmente i reggenti non avevano i capitali adeguati per ottemperare alla superiore decretazione, ma andava diffondendosi anche l’idea che non bastava chiudere i due lati, ma che il visitatore intendesse nuovi muri da ogni lato, per cui bisognava provvedere ad accantonare il denaro per un decisivo ingrandimento. Solo nel 1624 si registra “una chiesa sotto il titolo di Santa Croce, qual si fabricha”. Si vedrà nella prossima puntata.

( continua )

 

Angelo Bertasa