E’ da poco in libreria. E’ l’ultimo libro del giornalista e scrittore Gabriele Moroni, di Legnano (MI), e di Mario Gualdi, di Albino (BG): “Luigi Gualdi. Il papillon italiano. Un viaggio infernale dalla Bergamasca alla Cayenna”, per la casa editrice Diarkos, con la prefazione di Alessandro Galimberti. Un libro di ricerca, basato su documenti originali: verbali di polizia, atti processuali, documenti carcerari, giornali dell’epoca. Un libro intrigante, da leggere.
E’ il “Papillon” italiano. Dalla Val Seriana al “bagno penale” dell’Isola del Diavolo (Ile du Diable), alla Cajenna, nella colonia francese della Guyana, in Sud America. Ma la sorte di Luigi Gualdi, nativo di Vertova, classe 1905, non è fortunata come quella di Henri Charrière, protagonista del film Papillon (protagonista il grande Steve McQueen), nelle sale cinematografiche italiane nel 1973, tratto dal libro dello stesso Henri Charriére, che racconta le sue peripezie come carcerato alla Cajenna. Infatti, Luigi Gualdi non torna a casa, per scrivere un best seller che darà lo spunto per un grande film. Viene ucciso dalla malaria poco prima di compiere 23 anni. Il suo corpo, come quelli di tutti i galeotti morti in detenzione, nel famigerato penitenziario (1852-1946) viene gettato in mare.
E’ l’epilogo di una vita violenta, sbagliata, sfortunata.
La sua storia è stata ricostruita, con una tenace ricerca negli archivi francesi, da Mario Gualdi, nato ad Albino nel 1943, figlio di uno dei fratelli di Luigi, e dal figlio di Mario, Fabio, oggi avvocato a Como. “Angelo, mio padre – dice Mario Gualdi – era nato nel 1914, nove anni dopo Luigi. Ogni tanto, accennava ad un fratello mandato alla Cajenna, in carcere duro. Ma la cosa finiva lì, era reticente. Ne parlò nel ’73, quando vedemmo insieme il film Papillon, con Steve McQueen, ma poche cose, dette sottovoce. In famiglia, avevano sofferto la storia di Luigi, quasi se ne vergognassero. Una sorella, per giunta, ha distrutto le sue lettere. Dal paese, poi, se ne andarono tutti, disperdendosi in Italia”.
Bernardo Gualdi e la moglie Maria Grata Anesa hanno avuto undici figli. Luigi, venuto al mondo il 24 agosto 1905, è il quarto. I Gualdi lavorano la terra a mezzadria. È buona gente, timorata di Dio, come si diceva una volta. Uno dei figli sarà missionario, un’altra monaca di clausura. Per Luigi pare prepararsi una vita da contadino: fa legna su e giù in Val Vertova con un asino. Spesso dichiara di voler emigrare, così con i primi soldi guadagnati avrebbe comperato un altro asino al padre. Non è così. Si avvicina alle idee del socialismo. Un giorno (siamo nel 1922 o forse nel 1923) è nel circolo socialista del paese, quando fa irruzione una squadra di fascisti. Ne nasce una scazzottata, Luigi e i suoi amici possono solo soccombere. Ma qualche giorno dopo affronta in strada uno dei suoi aggressori, restituendo con tutti gli interessi le botte prese. L’aria di Vertova, però, si è fatta irrespirabile per il giovane Gualdi. Quei due episodi violenti accelerano una decisione già presa: espatriare in Francia per sottrarsi a un destino di miseria contadina. Ha solo 18 anni. Passa il confine sprovvisto di documenti, da clandestino, senza conoscere una parola di francese. Approda a Nizza, poi a Marsiglia.
Il primo arresto, a Gap, il 26 giugno 1924, dopo una notte brava, e la prima condanna per il furto di una bicicletta. Durante i quindici giorni di detenzione, l’incontro con André Gauthier, un criminale navigato. Intanto, il 2 luglio il Tribunale delle Alpi Marittime lo espelle dal territorio francese, ma Gualdi non si muove, vagando fra Ventimiglia e la Provenza. Furti, rapine, sparatorie: il destino di entrambi si compie tra il 2 e il 4 dicembre. Luigi e Gauthier si introducono nella casa di un certo Izoarde, nella cittadina di Claret. Lo minacciano, s’impossessano di alcuni oggetti, fino a quando Gauthier non spara uccidendo il malcapitato Izoarde. Tre giorni dopo Luigi ha un conflitto a fuoco con l’agricoltore Gaston Dominici, che un trentennio dopo sarà al centro del più grande giallo della storia criminale francese, conosciuto come “affaire Dominici”: il massacro di una famiglia inglese, Lord Jack Drummond, la moglie, la loro bambina. Una vicenda resa celebre anche dal film “Il caso Dominici” con Jean Gabin. Sono arrestati. Gualdi viene rinchiuso nel carcere di Fresnes. Una scheda del 9 dicembre 1924 descrive Gualdi come “violento e pericoloso sotto tutti i punti di vista”, per avere tentato di evadere demolendo dei gabinetti. Il 5 agosto 1925 Luigi Gualdi è condannato ai lavori forzati a vita. In carcere sconta anche novanta giorni di isolamento per avere danneggiato dei mobili, oltraggio e ribellione al personale. La Cassazione respinge l’appello.
Il 5 agosto 1925 Luigi Gualdi è condannato ai lavori forzati a vita. Due anni dopo, il 7 aprile 1927, il forzato numero 49061 viene imbarcato con altri “bagnards” sulla nave “La Martiniére” che fa rotta per la Guyana francese. Lì morirà nel giugno 1928, ucciso dalla malaria.
“Non sapevamo molto di più – spiega l’avv, Fabio Gualdi, figlio di Mario – Solo che era espatriato, era stato arrestato, condannato, deportato. Mio padre aveva lo stato di famiglia che riportava la morte di Luigi nelle, per ironia del caso, Iles du Salut (Isole della Salute). Non c’era ancora la certezza. Abbiamo fatto una breve ricerca e individuato le carte con la storia di Luigi negli Archivi nazionali d’Oltremare, a Aix-en-Provence. Una storia da romanzo, una vita tormentata, violenta, dolorosa, fino alla morte oltreoceano”.
Mario Gualdi, nipote di Luigi, e Gabriele Moroni, giornalista de “Il Giorno” e scrittore, dopo mesi di ricerche negli archivi italiani e francesi, hanno ricostruito la parabola umana e giudiziaria del giovane bergamasco fino al tragico epilogo.
Nel carcere duro della Cajenna il clima è infernale: malaria e lebbra, sono in agguato, la disciplina è spietata. Gauthier, compagno di Luigi Gualdi nella sanguinosa rapina, viene ghigliottinato davanti ai compagni di pena per avere ammazzato una guardia. I familiari sono senza notizie di Luigi da più di due anni. Bernardo Gualdi, il padre, ha scritto le sue ultime lettere al figlio il 25 aprile e il 6 maggio del 1927: lettere che, sappiamo oggi, non sono mai state recapitate al destinatario.
L’ultima lettera di Luigi porta il timbro postale del 27 giugno 1927, due mesi dopo l’arrivo in Guyana. La famiglia si rivolge alle autorità dell’epoca che, il 30 ottobre 1929, scrivono al consolato francese alla Cajenna. La risposta è del 3 gennaio 1930: Luigi Gualdi è morto. Si viene a sapere che il 28 maggio 1928 il detenuto è stato visitato dal “medico maggiore” del carcere che ha diagnosticato una malaria grave. Dopo 10 giorni, il 9 giugno, Luigi Gualdi muore. Il suo corpo, come quelli di tutti i reclusi che morivano in detenzione, viene gettato in mare. Soltanto dieci anni più tardi, nel 1937, la legge francese abolirà la deportazione e i lavori forzati. Nel 1946 l’amministrazione francese chiuderà definitivamente i bagni penali della Guyana.

Tiziano Piazza