“Io sono dell’opinione che la mia vita appartenga alla comunità, e fintanto che vivo è un mio privilegio fare per essa tutto quello che mi è possibile”. (George Bernard Shaw).
Mai frase è così appropriata per definire Maurizio Noris, classe 1957, originario di Comenduno, una figura di spessore nella comunità albinese, conosciuta e apprezzata per il suo ampio spettro d’azione, in vari campi e attività. Segno di un forte dinamismo socio-culturale e di un eclettico “modus vivendi”, di un appassionato impegno civico e di una generosa partecipazione al vissuto della città. Molti lo ricordano come consigliere comunale dal 1999 al 2006, ma soprattutto come socio fondatore, nel 2001, dell’associazione “La Turbina”, il cui lavoro porterà alla nascita della rivista locale “Albino sul Serio” e poi all’esperienza di un progetto politico-amministrativo per la città, “ProgettAlbino”, che sfiora la vittoria alle elezioni comunali del 2004 (49,7% dei voti).
Senza dimenticare la sua attività di formatore e promotore socio-culturale, soprattutto nell’ambito delle politiche per i giovani, che ha maturato, nella sua lunga carriera varie esperienze, anche a livello regionale e nazionale.
Una figura variegata, ricca di interessi, stimolante e coinvolgente, che si connota anche per una originale passione, la poesia. Noris, infatti, ha alle spalle oltre trent’anni di produzioni in “bergamasco poetico”. Ed è considerato ormai un poeta “di lingua prima” fra i più fini e sensibili del panorama nazionale.

Quando si è avvicinato al dialetto?
In verità, è da quando ero adolescente che scrivo poesie. Una passione che corre con me e dentro di me da quando ho iniziato a lavorare. Prima come fornaio, a 15 anni; poi, come operaio, a 20 anni, presso la Cesalpinia SPA di Bergamo, azienda del settore chimico alimentare. E’ l’entrata in contatto con il mondo lavorativo che mi ha fatto imbattere nella lingua parlata di tutti i giorni, appunto il dialetto. A quei tempi, negli anni ’70, e in quel contesto, mi ero impegnato come rappresentante sindacale – categoria lavoratori chimici – o si parlava in dialetto o niente. Ma non è che scopro il dialetto, ci stampo contro, come linguaggio personale e poetico. In questo aiutato dall’incontro con Luigi Meneghello e la sua opera Libera nos a malo, che per me è stata una folgorazione; e con altri letterati e poeti contemporanei, come Biagio Marin, Andrea Zanzotto, Achille Serrao, Giancarlo Consonni, Piero Marelli e soprattutto Franco Loi, di cui sono molto amico.

E come si è sviluppato il suo percorso artistico?
Premetto che la poesia è per me un’attività a latere. Il mio lavoro è un altro, peraltro in diversi solchi: sindacalista (per consolidare questa competenza ho frequentato il “Corso lungo biennale per dirigenti sindacali nazionali CISL 82/83” presso il Centro Studi Cisl Nazionale di Firenze con cui ho poi collaborato per alcuni anni); responsabile di vari progetti alle Acli bergamasche e nazionali, soprattutto per migliorare i rapporti fra giovani e lavoro; e, dal 1990, come libero professionista, sono promotore socio-culturale, soprattutto nell’ambito delle politiche per le giovani generazioni, e formatore di operatori sociali e sindacali, in tutta Italia. La poesia è altro, ma è una dimensione che mi affascina, che mi coinvolge. Come pure la piccola casa editrice “TeraMata”, che ho fondato nel 2001 con Ivano Castelli, per dare spazio a pubblicazioni socio-culturali territoriali. Ne sono ad oggi il presidente e per Albino, in questi anni, abbiamo pubblicato i Quaderni ANPI e due libri, uno su Gian Battista Moroni e l’altro sulla Chiesa di San Bartolomeo, che sono dei lavori di qualità.

Uno spirito eclettico, non c’è che dire. Ma, ora, ci parli della sua poesia.
Dal 1998 ad oggi ho scritto e pubblicato tante poesie in lingua bergamasca. Nel 2001 ho pubblicato “Santì”, libro artigiano di poesie dialettali con l’artista grafico Ivano Castelli, presentato con il Gruppo Musicale Officine Schwartz di Bergamo; nel 2008, poi, ho pubblicato la raccolta “Dialet De Nòcc D’amùr”, con la quale ho vinto il premio Città di Ischitella – Pietro Giannone. A maggio 2010, “Us de ruch”, con l’introduzione di Franco Loi. Nel 2011 ho collaborato e partecipato all’antologia “Guardando per terra”, voci della poesia contemporanea in dialetto. Dal 2012 al 2015 ho pubblicato tre piccole raccolte di poesia (Angei?, Zogadur, In del nom del pader), per la mia casa editrice “TeraMata”. Ho curato con Piero Marelli l’antologia di poeti dialettali traduttori “Con la stessa voce” nel 2015. Da ultimo, nel 2016, ho mandato alle stampe la raccolta di poesie “Resistènse”.

Appunto, la sua ultima fatica è Resistènse…
Sì, sono molto affezionato a questa raccolta; è stata pubblicata da Edizioni Interlinea di Novara, con presentazione di Franca Grisoni. Parlo di come praticare resistenze nella realtà quotidiana del mondo. Invito a vivere senza paure, anche rischiando.

Resistènse una raccolta che va letta, per capirla. In questo ci aiuta la stessa Franca Grisoni, che così commenta: “Per resistere in questo mondo di guerre, di ingiustizie, di disorientamento sociale e di sofferenze collettive bisogna alimentare la “Speranza tra noi”. Per questo occorre cucire “storie insieme”, ed è così che ogni volto, nome o mestiere diventa una storia, ed ogni storia è un mondo (quello della cinese, del mezzadro, dell’ombrellaio, del fabbro,…) e la loro storia di resistenze e di vacillamenti diventa la nostra”.

Sappiamo che sono tanti i premi che ha ricevuto, dal 2005 al 2015,…
Le mie poesie sono inserite in diverse antologie letterarie e hanno trovato vari riconoscimenti a livello provinciale, regionale e nazionale. Sono tanti, circa una trentina, e ne sono felice. Ricordo il primo, era il 1998, quando ho ricevuto il Premio “G. Gambirasio” Città di Seriate, seguito dal Milano Duomo nel ‘99. Poi, a Sondrio, il Premio David Maria Turoldo. Il Premio nazionale Città di Ischitella – Pietro Giannone. E il Premio Laurentum, a Roma, presieduto da Gianni Letta con in Giuria i grandi nomi della poesia contemporanea.

Cosa è per lei il dialetto?
Già, il dialetto: personalmente mi ci sono accostato con un po’ di diffidenza, perché spesso è un’opzione bozzettistica, comica, passatista. Molta poesia dialettale è stata così, e lo è tutt’oggi; mantiene l’accento sul facile, sul banale. Ma non sempre è così. Da Meneghello e dal suo Libera nos a Malo, se ce la giochiamo in poesia come uso del linguaggio del profondo, io uso il mio linguaggio profondo, il bergamasco, come lingua prima. Il dialetto è la mia lingua prima, non perché l’ho scelta ma perché viene dalla pancia di mia madre e con questa sono cresciuto. Le parole del dialetto così sentite, incorporate, vengono dalla zona dei noumeni, appercepite prima di imparare a ragionare. Per questo, per me, il dialetto così vissuto, è per certi versi realtà e per certi versi follia.

Chi sono, allora, i poeti dialettali?
I poeti dialettali di oggi, o neodialettali, sono il risultato del fatto che non esistono più periferie culturali tali da congelare il dire poetico dialettale a esclusivo patrimonio locale, ma cullano il sogno della poesia per tutti, immaginando che il dialetto come lingua della realtà sia capace di essere anche parola di poesia. L’uso del dialetto non è a difesa di ciò che abbiamo, ma come racconto, con la mia lingua, al mondo. Così, il dialetto aspira ad essere universale.

Per informazioni: maurinoris@gmail.com – tel. 335.8155951

Tiziano Piazza