Cade in questo mese di settembre, precisamente l’11 settembre, l’80° anniversario della morte di Mario Fossati, detto “Dino”, uno di quella ventina di Albinesi che hanno perso la vita in prigionia, in Germania, perché, come tanti militari, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 non avevano voluto schierarsi con la Repubblica Sociale Italiana, fascista. Di Mario Fossati si è in grado di tentare la memoria che merita, come per tanti altri giovani la cui vita è stata rovinata dalla guerra, per l’Italia voluta dal fascismo.
La sua famiglia, innanzitutto la venerata moglie Rosetta Solcia, e poi i figli Francesco “Dino” e Silvio, hanno conservato, nella valigia del padre, un migliaio di lettere che aveva scritto dai vari fronti in cui era finito, con il pensiero e la speranza sempre rivolti a casa.
Mario Didino Fossati era nato l’8 maggio 1911, a Meina, in provincia di Novara; il padre Francesco gli era morto nel 1918… e la mamma Angelina Tognetti nel 1919, quindi orfano di padre e madre a 7-8 anni.
Nel 1923-1924 lo troviamo nella fotografia della classe 5^ del maestro Mandozzi; dei suoi trenta compagni di classe, i più noti sono Libio Milanese, Federico Cuminetti, Battista Calvi, Giuseppe Gasparini, Giacinto Bontempelli.
Il suo foglio matricolare, acquisito dall’Archivio di Stato di Bergamo, ci informa che i suoi “12 anni d’armi” iniziano il 17 marzo 1932. Nel periodo del servizio militare, dal 30 settembre 1932 è aggregato alla Scuola Applicazione di cavalleria di Pinerolo e qui impara il mestiere del maniscalco, funzione che continuerà ad esercitare dal 1° giugno 1935, caporale nella campagna per la conquista dell’Abissinia e dell’impero fascista, fino al gennaio 1937. Si conserva un suo album con un centinaio di fotografie.
Nel 1939 è fidanzato con Rosa Solcia, da bambina adottata dal fotografo Cristoforo Balestra, con laboratorio ad Albino e Bergamo; nel 1940 la sposa e il 5 febbraio 1941 nasce il primo figlio Francesco, chiamato pure lui “Dino”.
La loro corrispondenza postale inizia dal settembre 1939, mentre è sotto le armi, e dall’11 giugno 1940 in territorio in stato di guerra, a cominciare dalla Francia. Dal 26 maggio 1941 il maniscalco caporal maggiore Fossati è richiamato nel battaglione Morbegno del 5° Alpini per conquistare, nel corpo di spedizione italiano CSIR, poi ARMIR a fianco dei tedeschi, le ricchezze agricole e minerarie della Russia; è al fronte dal luglio 1942.
Dalla cinquantina di lettere scritte alla moglie Rosetta dal luglio 1942 al marzo 1943 si può ricostruire la sua vicenda nell’immensa tragedia di quella guerra d’invasione, su cui sono state scritte centinaia di pagine di memoria e di storia. E anche tutte le lettere di Mario “Dino” e Rosetta potrebbero formare un volume di memorie.
“Dino” il 5 agosto 1942 le scrive che sta organizzando il suo lavoro ed è ottimista: “Sebbene non possa sentire i bollettini, so che le truppe alleate avanzano bene, sterminando i Russi in ritirata”. E chiede a Rosetta di inviargli pacchi con generi alimentari e altri che gli mancano.
E, soprattutto, il 7 settembre, gli mancano notizie “da casa”: “sono otto giorni che ne sono privo”. E già scrive: “I Russi sono duri da battere”, quasi vicino al Don e “quello che mi dà pensiero è il freddo di questi posti, che raggiungerà i 50 sotto zero, e mettere al coperto uomini e muli”. Quelli da accudire sono più di 300.
E il 10 settembre: “Certamente, il desiderio del mio cuore è la presta vittoria delle nostre armi, per unirci per sempre alla nostra famiglia che tanto penso e tanto amo”. Il 22 settembre: “Immagino già la nostra futura casetta coi risparmi fatti”. Rosetta è in attesa del secondo figlio, Silvio. La separazione lo fa soffrire come “rinunciare a vivere la vita più bella, quella della nostra famiglia” (13-10-1942).
Il 9 gennaio 1943 dalle lettere traspare che i Russi hanno scatenato un “bestiale attacco». Poi non giungono più lettere dal fronte.
E’ una lettera di Rosetta a “Dino”, datata 18 gennaio 1943, che mostra la guerra vista da chi sta a casa: “Mio carissimo, ti scrivo ed il mio amore in questo momento è tanto in angosciosa attesa almeno di un altro tuo telegramma che venga ridarmi quella pace che per tutte le voci che corrono in paese è scomparsa dal mio cuore, pure io sono già più fortunata di tutte quelle spose che sono già più di un mese che non ricevono notizie dai loro cari, mentre io in breve tempo ebbi tre tuoi telegrammi recentissimi, ma so pure delle battaglie in corso in questi giorni e allora come puoi ben credere il mio cuore in questi giorni vive tormentato dalla paura e dell’ansia”.
E il 21 gennaio, ancora Rosetta: “Senza notizie ti dico che sono tempi che lasciano il segno nella vita delle persone, perché sono ansie e dispiaceri proprio per consumare il cuore”. Sono i giorni della ritirata dalla Russia e della battaglia di Nikolajewka, il 26 gennaio 1943.
Solamente l’11 febbraio giungerà da “Dino” la sospirata cartolina che inizia con le parole: “Sono salvo”. Il 22 febbraio del 1943 nascerà il secondogenito Silvio, ma il padre lo potrà vedere il 29 marzo, finalmente a casa.
Ma per poco tempo, la guerra continua: il battaglione Morbegno viene ricostituito con i pochi superstiti e altri, a San Candido, in Val Pusteria. L’8 settembre 1943, lo stesso giorno dell’annuncio dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, Mario Fossati risulta fatto prigioniero dai tedeschi; i soldati italiani vengono disarmati. Si può pensare che egli, come tanti altri, nei giorni seguenti non abbia accettato di aderire all’esercito della costituenda Repubblica Sociale Italiana, fascista, e subordinata ai tedeschi. I motivi della scelta di Mario restano ignoti.
Per Rosetta, fino al gennaio 1944, un angoscioso silenzio, accompagnato dalle notizie che i militari italiani non aderenti alla RSI sono internati in campi di prigionia, in Germania. Per “Dino” è iniziata “una vita piena di miseria”, come scriverà.
E’ prigioniero nello stammlager IV F di Siegmar. Rosetta, avuto l’indirizzo, subito scrive, ma le prime lettere ritornano respinte; poi, inizia una frammentaria corrispondenza tra lui che chiede notizie di casa e pacchi di alimenti ed altro. Di giorno, costretto a un faticoso lavoro a Chemnitz, e dall’agosto 1944 non più nel lager, ma comunque sorvegliato ora dalla polizia.
In una lettera del 6 settembre 1944, in risposta ad un’altra formata come al solito da quattro pagine, troviamo forse una traccia dei motivi che portarono Mario “Dino” a non aderire alla R.S.I.: “Riguardo alla pagina scritta nel mandarmi saluti e spiegandomi le qualità di gente che io non voglio neppure che mi vengano a ricordo dato le funzioni che coprono, mi ripudiano e le odio, perciò mi sarebbe più piaciuto in quello spazio fosse occupato da scarabocchi dei nostri bimbi e quelli li avrei baciati con gioia. Tu non arrabbiarti e ti do un consiglio buono e utile di stare alla lontana di certa gente pure a salvaguardare la vostra esistenza”.
Quindi, si augura possa “venire la pace”, dopo “un vero martirio”.
L’ultima lettera è del 9 settembre 1944, alla “Sig.ra Fossati Rosetta fotografa”: “Rosi e bambini cari, spero avrai ricevuto le mie tre cartoline […], però, con gli avvenimenti in corso non riceverò molte risposte perché nutro la speranza di potervi presto abbracciare per sempre, certo il pensiero si fa più acuto pensando a quale fine tragica può succeder, qui bisogna stare molto attenti agli ultimi minuti di decidere quale via migliore. Spero come ho avuto sempre buona protezione in questi 12 anni di vita d’armi di potermela cavare e mai mi sarei sognato di fare un anno di vita così da miserabile che solo i santi e i martiri potevano sopportarla”.
L’11 settembre risulta “morto alle ore 12 e minuti trenta in seguito da un’incursione aerea” degli alleati anglo-americani. Un danno collaterale della guerra.
Quando il 3 luglio 1955, ad Albino, è inaugurato il monumento ai Caduti di Albino centro, a deporvi la corona sono scelti i suoi figli Francesco “Dino” e Silvio. Le sue spoglie ritornano il 12 giugno 1971. La venerabile vedova Rosetta muore il 23 novembre 1999.
A maggio 2024, il figlio Silvio ha potuto tenere fra le mani l’orologio del padre, forse lo stesso che aveva chiesto di inviargli con uno dei pacchi in una cartolina postale del 14 febbraio 1944: un orologio da tasca con incise sulla cassa figure di muli, depositato al Museo degli Alpini, costituito da Gianluigi Moioli, depositatovi dall’altro capogruppo Giuseppe Carrara, classe 1941, che l’aveva avuto dal padre Giambattista. Questi, compagno di prigionia e di lavoro di Mario “Dino” Fossati, l’aveva da lui ricevuto, ferito, da portare alla moglie Rosetta. Lei poi l’aveva lasciato al Carrara.
Questo anche a memoria degli orrori della guerra: “Dulce bellum inespertis” (“La guerra è bella per chi non l’ha provata”).
Angelo Calvi