Una pagina di storia, albinese, all’apparenza minore, ma molti significativa invece, racchiusa tutta in un piccolo disegno, anch’esso pieno di profondi rimandi. Un cameo, per i lettori di Paese Mio.

 

Il disegno del pittore albinese Dante Acerbis (1916-2004) è una rarità: fu pubblicato, 70 anni fa, solo in formato 6×6 cm. e mai più riprodotto. Eppure, coglie lo spirito della generazione albinese uscita dalla Seconda Guerra mondiale, che nel 1954, 70 anni fa appunto, decise, con un referendum in Albino centro, la realizzazione del Monumento ai Caduti e il conseguente allontanamento della statua del Moroni, che nel 1939 era stata posta nella piazza antistante le scuole elementari.

I Caduti di tutte le forze armate sono rappresentati mentre, insieme, spingono via dalla piazza la statua del pittore. (Questa, a sua volta, aveva fatto togliere l’intitolazione della piazza a mons. Camillo Carrara dopo la morte nel 1924 del Vicario apostolico in Eritrea, allora ritenuto la gloria albinese da proporre come modello alle nuove generazioni. Nel 1924 era in costruzione il nuovo edificio delle scuole elementari, terminato nel 1929 e nel 1934 dedicato ai Caduti Fratelli Bulandi).

Nel 1954, si volle scegliere ancora una terza immagine di identità per Albino e per le nuove generazioni: il Monumento ai Caduti. Al momento di scegliere dove collocarlo l’amministrazione comunale del sindaco Luigi Goisis aveva proposto un referendum con varie alternative alle famiglie di Albino centro. Furono distribuite 1195 schede di voto, ne furono restituite 780.

La stragrande maggioranza, 520, scelse “la piazza delle scuole del capoluogo”; 126 voti andarono al “Piazzale del Cimitero”, 58 ai “Giardini pubblici della stazione”, le schede bianche furono 76.

La statua del Moroni se ne andava, nel disegno salutando dignitosamente, non essendo mai stato il pittore un vanaglorioso.

Tuttavia, la minoranza che aveva votato per un’altra collocazione del Monumento ai Caduti per lasciare dov’era la gloria del Moroni, si fece sentire, soprattutto con una poesia dialettale, messa in evidenza, rimpicciolendo il disegno del pittore Dante Acerbis, su Pro Albino. Il periodico sosteneva, inoltre, che il paese di Bondo, quale luogo natale del pittore, dovesse essere denominato “Bondo Moroni”. E così si insegnava nelle scuole elementari fino agli anni ‘70.

Nel 1938-1939, nella pubblicazione stampata in occasione della realizzazione della statua del Moroni, pure, si attribuivano al pittore le fattezze di un personaggio del dipinto del Moroni nella parrocchiale di Romano di Lombardia, “L’ultima Cena”: “moltissimi consentono di riconoscere nel coppiere l’autoritratto del Moroni”. Tali affermazioni, allora autorevoli, erano note allo scultore Siccardi che modellò la statua. Anche queste furono in seguito smentite, come ripetuto da mons. Tarcisio Tironi nella chiesa prepositurale di Albino, il 3 settembre 2021 durante il “Moroni 500”: il personaggio rappresenta il parroco di Romano, Lattanzio da Lallio, “vestito come un prete del tempo” e con accessori che richiamano “la lavanda dei piedi” narrata nel Vangelo di Giovanni, in sostituzione della cosiddetta istituzione dell’eucaristia, narrata dai vangeli sinottici; a questo, nel dipinto, richiama il parroco con la sua presenza da “protagonista”.

Questi aspetti negativi riguardo la statua del Moroni, che la rendevano falsamente somigliante, non erano noti nel 1954, ma la generazione uscita dalla Seconda Guerra mondiale di certo ricordava, lei sì, sia che il 1939 non fu solo l’anno di inaugurazione della statua, ma dette anche inizio alla guerra in cui, l’anno dopo, l’Italia vi entrò per decisione del duce del fascismo, sia che l’erezione della statua era stata decisa dal podestà fascista.

La sua deliberazione del 1938 di istituzione di una Commissione per le onoranze a Giovanbattista Moroni recitava: “Premesso che il grande pittore del ‘500 Giovanbattista Moroni, di chiara fama mondiale, è una gloria artistica, essendo egli nato in frazione Bondo Petello […], dato atto che all’iniziativa ha dato la sua autorevole adesione il Segretario Federale che l’ha posta sotto l’alto patrocinio dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, […] presi accordi col Presidente dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, e con il Segretario del Fascio, delibera, costituendo la commissione esecutiva come segue: Podestà presidente, segretario del Fascio, segretaria del Fascio Femminile […]; seguono 5 membri di fede fascista, che non è il caso di nominare.”

Come non è il caso di riportare, come fece L’Eco di Bergamo, il testo del discorso dell’oratore del giorno dell’inaugurazione della statua, senatore fascista Innocenzo Cappa, fatto venire da Milano, inneggiante agli Italiani, un popolo di artisti e di eroi… e quindi di fascisti.

Ma certamente, allora, nel 1954, si ricordavano di tutto questo molti di quelli che erano riusciti a liberarsi dal nazi-fascismo, come se ne ricordava Dante Acerbis, che con il fratello Lino aveva vissuto i drammi della guerra. Così gli Albinesi avevano scelto, come identitario, il Monumento ai Caduti, “voluto sulla piazza di quotidiano passaggio dei propri figli, a insegnamento perenne e monito contro tutte le guerre”, come sta scritto sul cartello che poi è stato posto, dagli Alpini di Albino, davanti al Monumento.

Ricordiamo che i monumenti, le statue, le lapidi, l’intitolazione delle vie, segni pubblici, vogliono esprimere l’identità, la religione civile, la cultura, il codice di una comunità (Tomaso Montanari, Le statue giuste, in biblioteca).

 

a.c.