Dopo la morte, avvenuta a Keren il 15 giugno 1924, del primo vicario apostolico in Eritrea, mons. Camillo Carrara, la comunità di Albino volle onorare il suo concittadino: pose una lapide sulla casa natale dei “Capelù” (è il soprannome di questo ramo dei Carrara, ndr), in cima alla salita della strada di Piazzo, il 24 giugno 1934, e gli intitolò la piazza delle scuole elementari, quella che è ora Piazzale dei Caduti: agli alunni quale riferimento di identità e di gloria albinese fu indicato il cappuccino mons. Camillo, nato il 14 marzo 1871.
Questo fino al 1939: in quell’anno, la maggior “gloria” albinese fu identificata in Giovan Battista Moroni e il nome di mons. Camillo Carrara fu trasferito un po’ più in disparte nella attuale via a lui dedicata.
La memoria di mons. Camillo Carrara fu tenuta viva da padre Rufino Carrara (1915-2007) che, conosciuto da ragazzo il vescovo albinese dell’Eritrea, al suo secondo e ultimo ritorno ad Albino nel 1923, si fece cappuccino e missionario per essere come lui. Nel 1964 p. Rufino realizzò la celebrazione di un’eucaristia in rito ge’ez e portò ad Albino gli eritrei di Roma che erano nel seminario fondato da mons. Camillo Carrara; fra questi quello che sarà poi il primo vescovo di Keren, Tesfamariam Bedho. Questi e il sindaco Attilio Manara progettarono poi insieme un centro giovanile per la diocesi eritrea che, con il vescovo Kidanemariam Yebio, fu sostenuto fino ad alcuni anni fa.
Ora, in Piazzo, la lapide dedicata a mons. Carrara è in pericolo, come la casa dei “Capelù” ed anche i visitatori di Piazzo guardano altro. Mons. Camillo Carrara e le missioni non sono più parte rilevante nell’identità albinese. Tuttavia, siamo nel centenario della sua morte, e qualcosa si muove per ricordarlo.
Un cappuccino eritreo, fra Andemariam, ha preso l’iniziativa di trascrivere a computer tutte le lettere e gli scritti di mons. Camillo Carrara e sta pensando ad una pubblicazione, almeno parziale, che faccia ricordare mons. Camillo Carrara con le sue stesse parole.
Fra Andemariam ha contattato il prevosto don Giuseppe Locatelli e così, in archivio parrocchiale, la signora Lilia Magnoni ha ritrovato una lettera del 9 febbraio 1911 con cui la fabbriceria parrocchiale esprime a mons. Carrara le sue felicitazioni per la sua nomina, da parte di papa Pio X, a vicario apostolico nell’Eritrea; la firmano i fabbriceri Alfonso Bosis, Lorenzo Zenoni avvocato, Giuseppe Birolini e Giovanni Noris Chiorda. E’ conservata anche la lettera di ringraziamento di mons. Carrara che spera “di fare un po’ di bene ai miei nuovi figli dell’Africa”.
Fonti cappuccine ricordano che l’ultima realizzazione di mons. Carrara ad Asmara, dov’è ancora oggi la sua tomba, fu la donazione dell’organo della cattedrale.
La ricerca e la raccolta delle lettere di mons. Carrara ha fatto ritrovare anche l’originale di una sua lettera del 22 giugno 1911, quand’era già in Eritrea, a mons. Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, allora segretario del vescovo di Bergamo mons. Radini Tedeschi; entrambi avevano partecipato a Milano alla consacrazione a vescovo di mons. Carrara. L’originale della lettera, segnalata da mons. Goffredo Zanchi nel volume “Io amo l’Italia “- Esperienza militare di un papa”, della Libreria Editrice Vaticana, è custodito nell’archivio della Fondazione Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Lo storico mons. Zanchi sottolinea che “il nuovo vescovo era conosciuto ed apprezzato da Roncalli”, in cui vedeva la “colonizzazione, integrata e umanizzata, dall’attività missionaria”; come sottolinea mons. Zanchi, i Cappuccini operarono un’azione evangelizzatrice “da non imporsi con la forza, ma da avviare con la persuasione”, mentre la politica coloniale italiana era, nelle intenzioni, esportatrice di civiltà, ma non di fatto, anche se in Eritrea non toccò le punte di “estrema crudeltà e violenza” della contemporanea conquista della Libia.
Una visione positiva ed idilliaca della colonizzazione era diffusa anche tra la gente di Albino, testimoniata anche dal fatto che i genitori di un bambino, nato il 21 luglio 1912, lo fecero battezzare il 28 con i nomi di Guglielmo Italo Libio, mentre all’anagrafe comunale avevano dichiarato il nome di Giuliano, il santo protettore della parrocchia. E poi fu chiamato Libio Milanese, persona che non fece del nome un programma di vita, anzi, è ancora oggi ricordato sul calendario parrocchiale 2023-2024, al 16 giugno, un giorno dopo la memoria di mons. Camillo Carrara, come “esempio di servizio”.
Due persone, queste, riproponibili per l’identità albinese.
A.C.








