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La scuola in tempo di Covid-19: servono serietà e coesione, non retorica e propaganda

21 Settembre 2020
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La scuola in tempo di Covid-19: servono serietà e coesione, non retorica e propaganda
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Ecco, la data fatidica del 14 settembre è arrivata, le scuole si sono riaperte, ma a regnare sovrano è il caos. I Dirigenti Scolastici sono nel panico, ansia da primo giorno di scuola. Nei mesi estivi hanno cercato di capirci qualcosa su come dovevano prepararsi alla prima campanella, ma ancora oggi non esiste una cosa, dicasi una, della scuola in riapertura sulla quale si possa contare di avere una certezza.
Certo, si è riaperto, per imperio di decreto, per una promessa governativa fatta a suo tempo, per una questione di immagine, ma senza logica, senza un progetto quadro, senza quasi conoscere la realtà: tanta retorica e arroganza, tante norme assurde e disposizioni contraddittorie, da burocrazia borbonica. Ma alla resa dei conti, tanta confusione, solo proclami sulla “moralmente doverosa” ripartenza della scuola: “Abbiamo il dovere morale di riaprire, è una priorità assoluta del Governo. Certamente, è una operazione complessa, ma siamo più pronti rispetto a quando la pandemia è scoppiata” (ministro dell’Istruzione Azzolina); “La riapertura non è solo necessaria per il fine pure altissimo dell’istruzione, ma perché è il primo ritorno collettivo alla normalità (commissario per l’emergenza Arcuri); “La scuola è la risorsa decisiva per il futuro della comunità” (presidente Mattarella). Quanta retorica, quanta ipocrisia. Di concretezza nulla.
E tutto mentre i nodi vengono al pettine, i problemi effettivi iniziano a manifestarsi. Ma per chi muove dei dubbi, ecco una serie di reazioni scomposte da parte degli “Enti Superiori”, con il ricorso a luoghi comuni e stereotipi: la resistenza al cambiamento, il sindacato cattivo che boicotta, i docenti che si mettono in malattia.
Intanto, ecco i punti nodali.
. I test sierologici per gli insegnanti: sono proposti come facoltativi (per giunta, non sono validati), ma questo non importa ai “soliti noti” di Palazzo, che additano i “prof” che non li fanno come untori; inoltre, la beffa: dopo una settimana, già sono mancati: nessun problema, siamo in Italia, si proroga per altre due settimane. E, poi, untori chi? I “prof”? Ma se sono proprio loro le potenziali maggiori vittime del contagio, i più esposti: da un lato, la loro elevata età media; dall’altro, il fatto che il rapporto con gli studenti è di 1 a 5…. I saggi (e non gli schierati di turno) dicono invece che i test dovrebbero essere fatti prima sugli studenti, i maggiori diffusori del contagio, ma i telegiornali questo non lo dicono, e non dicono neanche che i test sierologici hanno un valore nullo: quelli più interessanti, si sa, sono i tamponi rino-faringei. Comunque, monta la polemica a danno dei docenti, ma è un’arma di “distrazione di massa”, per coprire il vero problema: la tutela dei lavoratori della scuola, siano essi lavoratori fragili o in età avanzata. Per coprire un problema, basta deviare la discussione, dove fa comodo. Viene da chiedersi: quanti docenti verranno mandati allo sbaraglio? Anche perché è dura garantire il distanziamento in aula, la giusta misurazione della febbre a casa, il funzionale uso delle mascherine, etc.
Forse che si ritengono sacrificabili i “prof”? E’ su di loro che si dovranno scaricare le colpe di una gestione imbarazzante della scuola?
. Le aule: lo dicono tutti, non sono sufficienti: fortuna che ci hanno pensato i singoli Comuni e le singole scuole. Già erano insufficienti prima che scoppiasse l’emergenza, figuriamoci ora che si vanno ad aggiungere le problematiche sul distanziamento. Via, allora, alla ricerca di spazi, in oratorio, in palestra, nei musei (ma quando?), riconvertendo aule di informatica, fisica e chimica, montando tensostrutture. Perché, invece, non chiedere con più decisione aule alle scuole paritarie? Ma qui sta il problema: è meglio di no, altrimenti queste diventano importanti e, un domani, potenziali richiedenti di finanziamento pubblico, fatto che a molti, là nel Palazzo, non va bene. E, inoltre, non era meglio decidere a priori (ma non era politicamente corretto) di limitare la presenza a scuola, con una gestione “ibrida”, un po’ a casa e un po’ in classe, nel numero degli studenti e nel numero delle classi?
. I nuovi banchi: caspita, sono piccoli (se ne accorgono adesso, …). No, va bene così, per il Palazzo: in questo modo ce ne stanno di più in un’aula. Problema studenti mancini: fanno fatica con i nuovi banchi: …non importa si adattano (sic!). E poi i numeri, altisonanti: si parla di 3 milioni di nuovi banchi, di 11 aziende fra italiane e straniere. Ma si sa chi sono? Chi li fabbrica? Quanto costano? Come è stato indetto il bando? Boh, si sparano numeri a caso, e basta. Quelli a rotelle, poi, sono come palline del flipper: i bambini giocheranno a colpirsi.
. Le mascherine: i ragazzi devono indossare le mascherine, se non c’è il distanziamento di un metro: ma chi calcola la distanza? La bidella di Livigno o il collaboratore di Merano? Sarà il responsabile Covid? Ma se è lo stesso che era il responsabile della sicurezza… C’è da fidarsi? Meglio inchiodare i banchi e le sedie al pavimento, dicono in molti. La cattedra no, perché è già a due metri dai banchi e, poi, i “prof” per sicurezza arriveranno a scuola con le mascherine “P2”, la visiera e il casco, … sono i più esposti…, meglio che si tutelino.
. I distributori automatici: chi li toglie e chi no. Ma procurano assembramento? No, lasciamoli, si esce dall’aula uno alla volta, controllati dai bidelli. Ma dai, l’acqua e la merendina, in questa congiuntura, se la potrebbero portare da casa! Invece no. E se a scuola c’è il bar? Ci pensa il rappresentante a fare il barman: riceve l’ordine dalla classe, lo passa al bar e poi porta tutte le vivande in aula (…sarebbe da dargli un credito formativo!).
. La didattica a distanza (DAD): è sparita, deve sparire, complice la promessa (sa tanto di elettorale) “tutti devono ritornare a scuola!”, detta dal Palazzo. Ma, in verità, non si poteva utilizzarla con un po’ di parsimonia? Molte scuole lo hanno fatto: nei loro orari settimanali, le classi sono dimezzate, un po’ a scuola e un po’ a casa, e chi è a casa è collegato in video e segue la lezione; la settimana dopo chi era a casa va a scuola e viceversa; l’importante è fare i turni, così gli studenti “assaggiano” la scuola: in presenza seguono lezioni e indicazioni di lavoro che poi svilupperanno a casa. Tutto perché siamo in emergenza, non dimentichiamolo: non si può fare tutto come prima. E poi i turni pomeridiani: ah no, non si possono fare, non si può andare a scuola fino alle 17 o alle 18… Forse qualcuno si dimentica che fino a pochi anni fa era così, ed è ancora così per molti istituti professionali.
. I mezzi pubblici sono insufficienti: ma perché non si è pensato in quattro mesi ad aumentarne il numero, ad inserire separatori, a chiedere agli autoservizi privati, così in crisi per il turismo? No, siamo arrivati all’ultimo, e ovviamente si è deciso di aumentare la percentuale di presenza sui bus (con l’80% di capienza si è sicuri, …per la legge, non per la salute): una soluzione all’italiana, e all’estero ridono di noi.
Tutti noi siamo sempre andati, e tornati da scuola, pigiati e stipati negli autobus. Come è possibile che improvvisamente si possa far rispettare il distanziamento sociale tanto sollecitato dal Comitato Tecnico Scientifico? Ed allora si cercano soluzioni che sfiorano il ridicolo, come quella di non applicare l’obbligo del distanziamento, qualora il viaggio in autobus non duri più di un quarto d’ora. Sono cose ridicole.
. La misurazione della temperatura: Al momento, si dice che la temperatura deve essere misurata a casa, ma… chi la misura se i due genitori sono usciti di casa per andare al lavoro prima che lo studente si alza dal letto? E come la misura? Con quale termometro, verificato che questi hanno diverse tarature? Il limite-rischio è 37,5°: ma chi è quel genitore che fa uscire di casa suo figlio con 37° di febbre? Si sa che durante la giornata la febbre si alza. Roba da ridere.

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Ahi, ahi: si è fatto solo propaganda, quando invece serviva (e serve) coesione. E’ totalmente mancato un piano di ripartenza, aggravato anche dal fatto che il mondo della scuola non è stato mai coinvolto nelle decisioni. Qualcuno ha detto che la scuola in questo momento è come una casa che sta bruciando e il ministro dell’Istruzione anziché chiamare i vigili del fuoco per spegnere l’incendio ha chiamato gli arredatori.

Serve serietà. Altrimenti, in una Italia che sta viaggiando al contrario, il paradosso potrebbe diventare la regola quotidiana. Non vorrei che, a breve, qualcuno dicesse: “Non ho paura del virus, ho paura del Governo”.

Andrea Bonomi

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