Io c’ero, ho volto esserci all’incontro pubblico in sala consiliare. Per capire cosa sono le “Case di Comunità” e, per quanto riguarda nello specifico Albino, la “Casa di Comunità”, che dovrebbe sorgere nell’ex-monastero di S.Anna, dopo che la Giunta regionale della Lombardia ha approvato nello scorso dicembre una delibera che localizza le nuove strutture sanitarie sul territorio lombardo (una di queste proprio ad Albino); e dopo che il Comune di Albino, in consiglio comunale, ha ricevuto il via libera all’unanimità per l’acquisizione dell’ala sud dell’ex-monastero di Sant’Anna, come anticipo di oneri e di standard previsti dal piano attuativo del comparto.
È proprio qui che la Regione Lombardia ha scelto di aprire la “Casa di Comunità”, in un immobile la cui superficie supera i 1.300 metri quadrati, valutati 380.000 euro. Immobile che, dopo i sopralluoghi effettuati dai tecnici dell’Asst, è risultato più che idoneo, vuoi per le sue caratteristiche architettoniche, vuoi per la sua centralità e accessibilità: vicinanza alla stazione TEB e alle fermate della SAB.
E mentre ora la palla passa nelle mani dell’Asst Bergamo Est, che procederà a realizzare la progettazione e poi alla gara d’appalto per i lavori (il Comune mette a disposizione soltanto la struttura), ecco che in città di apre il dibattito sui “contenuti” da inserire nel “contenitore”. Le “Case di Comunità” infatti, secondo la riforma della sanità approvata da Regione Lombardia, sono strutture dove operano team multidisciplinari, sono il “punto unico” di accesso alle prestazioni sanitarie, il punto di riferimento per i malati cronici, il centro ambulatoriale per esami, visite, prelievi; ma soprattutto, ed è l’aspetto qualificate, uno spazio dove sono presenti anche servizi legati al sociale.
Ebbene, all’incontro-dibattito sul progetto della nuova realtà sociosanitaria nell’ex-monastero di S.Anna, organizzato dalle Acli albinesi, io c’ero. Volevo capire cosa avrebbe portato di innovativo alla città questa nuova struttura; se si configurasse veramente come uno spazio-luogo dove le persone vengono prese in carico in modo globale, con una forte integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociosanitari. Curiosità e perplessità, che portano ad interrogativi legittimi, alla luce delle mie conoscenze in merito alle “Case di Comunità” che si stanno sperimentando in varie città d’Italia, a Milano per esempio.
Le “Case di Comunità”, non c’è ma che tenga, sono un necessario “servizio di prossimità”, un luogo aperto all’ascolto delle esigenze concrete della comunità, che si occupa della persona (e della famiglia) nella sua globalità, che recupera il concetto di salute e benessere, superando il concetto di sanità (solitamente questa interviene quando la salute si sta ormai perdendo). Una struttura che guarda alla socialità territoriale, che fa da filtro fra i medici di base e i presìdi ospedalieri, per alleggerire il carico di lavoro su questi ultimi e favorisca, di contro, una medicina di prossimità.
Tanti gli interventi che ho sentito: il sindaco di Albino Fabio Terzi; Carol Angelini, dell’Ambito Media Valle Seriana; Giuseppina Pigolotti e Romana Gusmini delle Acli provinciali; e Mario Sorlini, presidente della cooperativa IML (Iniziativa Medica Lombarda), quella che sta gestendo l’Hub vaccinale sotto l’auditorium comunale.
Certo, tutto bello, tutto buono, …a parole, ma nei fatti si è ancora in alto mare. L’unica cosa certa è il “contenitore”, l’ex-monastero di S.Anna, ma sul “contenuto” servono ancora diversi tavoli di riflessione.
Del resto, il progetto è ambizioso, ma ancora tutto “in progress”, in divenire, da definire. Non si sa ancora chi gestirà concretamente la “Casa di Comunità”: il titolare è il Comune di Albino, il gestore generale è l’Asst Bergamo Est, che ha la titolarità della gestione sanitaria di tutto il territorio di riferimento, e poi c’è la cooperativa IML che ha espresso la volontà e la disponibilità a gestirla nei fatti. E a supporto Bergamo Sanità, per la parte infermieristica, e l’Ambito locale. Tanti “titolari”, in varie forme, ma ancora nulla è certo.
E cosa si farà al suo interno? Si è parlato di “medicina di gruppo”, esperienza avviata sul territorio, con successo, già negli anni ’90. Si è ipotizzato di integrarla con una forte valenza sociale e solidale, che da sempre manca nella medicina generale. Si è proposta un’idea di “punto di accesso unico”, con diverse competenze e professionalità: uno spazio polivalente con medicina generale, pediatria di libera scelta, continuità assistenziale, servizi di assistenza domiciliare integrata, servizio infermieristico, punto prelievi, punto per vaccinazioni (prevenzione) e tante altre discipline specialistiche, fra cui la telemedicina con il telemonitoraggio, diagnostica di primo livello, possibilità di fare ecografie. Di tutto e di più, ma ancora tutto da definire con Asst Bergamo Est. Con alcuni punti interrogativi: sono sufficienti gli spazi? bastano i fondi a disposizione? Si saprà rintracciare il personale necessario (in particolare medici di base, visto che molti sono andati in pensione in questi anni)?
Quindi, siamo ancora nella fase: “Facile a dirsi …più difficile a farsi”.
Anche perché quando si parla di “Casa di Comunità” il discorso diventa giocoforza culturale e politico.
La “Casa di Comunità” non è da intendersi come poliambulatorio, ma come luogo dove trovano concretezza tutti i diritti di cittadinanza, a partire dal benessere individuale e collettivo che è il diritto alla salute. Con la “Casa di Comunità” si promuove l’idea di salute intesa come bene comune. Quindi, si deve ragionare presupponendo un cambio di paradigma “dalla sanità alla salute”, in una visione delle politiche sociali come politiche di salute e viceversa.
Istituire la “Casa di Comunità” non è solo un tema di strutture da reperire e riconvertire, ma è costruire un nuovo modello di integrazione sociosanitaria, che metta al centro la persona, e anche di istituire nuove figure professionali che abbiano competenze integrate tra sociale e sanitario, come i medici di territorio, l’infermiere di comunità, oltre che la nascita di nuovi percorsi formativi.
La salute, infatti, non è la semplice assenza di malattia. È una condizione complessiva della persona a partire dai cosiddetti “determinanti sociali”: l’abitare, la cultura, la scuola, il lavoro, il tempo libero, il sociale, la tutela dell’ambiente e tanto altro ancora.
La “Casa di Comunità” deve allora essere luogo di prossimità e solidarietà, capace di accogliere soprattutto le persone più fragili; luogo dove trovano sede insieme i servizi sanitari primari e i servizi sociali e dove, quindi, il diritto alla salute è garantito in tutte le sue articolazioni: benessere fisico, psichico, affettivo, relazionale.
Andrea Bonomi








