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Contrada Petello: l’ultima lettura prima del crollo

14 Maggio 2013
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Contrada Petello: l’ultima lettura prima del crollo

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Disabitata da ottant’anni, abbandonata da cinquanta, quanto rimane dell’antica contrada di Petello tra non molto tornerà alla natura; la calce, dilavata dalla pioggia, scioglierà dal suo abbraccio le pietre che aveva finora legato e le ultime murature, percorse da fenditure sempre più ampie, cadranno al suolo e torneranno alla montagna da cui erano state estratte tanti secoli fa.

Prima che questo avvenga c’è però ancora la possibilità, in occasione di una facile passeggiata primaverile, di “leggere”, su uno dei muri non ancora crollati, una pagina della storia degli edifici albinesi. Una storia che risale al Medioevo, quando gli edifici “copati”, coperti cioè da coppi, erano ancora limitati ai centri e si accompagnavano ancora a quelli “scandulati”, coperti da scandole di legno, “paleati” coperti da paglia o “plodati”, coperti da pesanti piode di calcare nel nostro caso, diverse dalle ardesie dell’alta valle.

Prescindendo dalle coperture in coppi che ancora caratterizzano i nostri centri abitati, sono tipologie edilizie testimoniate ora unicamente dai documenti per il nostro territorio, ma che possiamo trovare ancora in angoli della Lombardia dove si sono conservate fino ad oggi: le costruzioni coperte da scandole, diverse però dalle nostre, a Livigno, quelle coperte da paglia a Valvestino, nel bresciano e in Valle Albano, nell’Alto Lario, mentre nelle valli Imagna e Taleggio possiamo ancora vedere numerose costruzioni coperte da piode calcaree; begli esemplari restaurati li possiamo ammirare ad Arnosto, frazione di Fuipiano in Valle Imagna.

Nell’Albinese quasi nulla è rimasto delle costruzioni col tetto di piode calcaree, l’unico esemplare è rappresentato dalle due absidi rimaste della costruzione originale dell’abbazia di Vall’Alta. Vi sono poi rare e piccolissime “caselle” in valle del Luio: a Plazza e presso la cima del Pizzo Pelsino, ma l’unico punto in comune con quanto stiamo esaminando è l’uso di pietre per la copertura e non la tecnica costruttiva.

La sola traccia albinese di un edificio civile coperto da piode è questa di Petello: l’unico muro rivolto a nord ancora conservato ci consente di leggerne gli alzati scoprendo le tre differenti fasi edilizie che si sono succedute nel tempo.

Il primitivo edificio era stato costruito con un tetto a due falde a forte pendenza (140%) coperto da piode. Il profilo originario del tetto è ben visibile nella discontinuità della muratura; sono ancora in loco le pietre dov’erano impostate la prime piode della copertura. La forte pendenza del tetto, retto da capriate, era necessaria per scaricare il più possibile il grande peso della copertura sui muri perimetrali.

Nella seconda fase edilizia la pendenza del tetto, sempre a due falde, viene ridotta al 50%, di certo per sostenere un tetto in coppi. L’innalzamento della muratura sui due lati viene realizzato in parte con le piode prelevate dal tetto.

Nella terza fase la pendenza del tetto, sempre coperto da coppi, viene ruotata di 90 gradi con la costruzione di una copertura ad una sola falda con pendenza da nord a sud , ed i lati del muro a monte che stiamo osservando vengono in parte alzati ancora con piode, probabilmente prelevate dal muro a valle, che viene abbassato con questo intervento.

Difficile sapere quando le case di Petello vennero costruite, il toponimo già compare nel Duecento ma non certifica l’esistenza di costruzioni. Di certo la seconda fase costruttiva, quella che cambia la copertura dalle piode ai coppi è precedente all’anno 1476. Lo certifica un importante documento albinese redatto in quell’anno: l’estimo del comune di Albino, trascritto da Giampiero Tiraboschi e consultabile in biblioteca, che ci dice le case di Petello già “copate”.

Le fragili rovine di Petello, accuratamente ripulite dai rovi che le assediavano, sono facilmente visibili dalla stradina che sale dalla chiesa di Petello verso la contrada, e che prosegue poi come sentiero verso Ganda. Ci richiamano alla fantasia un paesaggio albinese diverso dall’attuale, punteggiato da edifici dai tetti aguzzi, coperti da paglia, scandole o piode come in questo caso. Ma, immersi in fantasticherie circa il nostro passato, sarà meglio non farci attirare dal fascino delle rovine, è consigliabile non avvicinarsi troppo alle murature, non sappiamo infatti quando il crollo definitivo avrà luogo.

 

F.I.

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