La cava dei Manni di Gazzaniga
Che la località detta “Caslì d’ la Éna” o Vena fosse da identificare con una cava del marmo nero era già convinzione dal 2001 quando si seppe dal “Libro della fabrica di S.to Rocco al Lago” dell’archivio parrocchiale di Gazzaniga che i blocchi per edificare il campanile di detto oratorio venivano cavati proprio dalla Vena. La frase era: “…pagato per essere andato su in da Vena à cavar di cantoni et di prede per li curnis del campanil”. Era possibile anche ipotizzare che la cava fosse dei Manni, ma rimaneva solo un’ipotesi da verificare.
A parziale conferma servì la rilettura completa del testo, già in parte pubblicato nel libro “Gazzaniga, porta aperta sulla storia”, 1990, del testamento dell’ultimo erede Manni, Giovanni Andrea, dettato al notaio Bortolo Pedrini il 27giugno 1827 e che così recita:
“Lo stabile di mia ragione posto in Trevasco Comune di Nembro con tutte le sue adiacenze di fabbricato e imobiliare inerente e lo stabile detto alla Vena sul tener parte di Gazzaniga ed in parte di Orezzo con tutte le adiacenze come sopradetto di fabbricato e mobiliare inerente, li lascio alla mia cugina S.ra Petronilla del vivente S.r Pietro Giacomo Manni di Desenzano…”.
Anche in questo documento si specifica l’ubicazione ma non la presenza di cave. Quanto al luogo, la Vena si trova circa 300 m dopo la curva della grotta di Lourdes salendo verso Orezzo. Sono visibili segni del fronte della cava sia sopra la strada che sotto e la provinciale in quel punto tocca il vecchio confine tra i comuni di Orezzo e Gazzaniga, lungo il quale correva la mulattiera detta “strada comunale della Posséra” che poi si dirige, come ora, verso la cappella dei Grumelli (v. Mappa catastale 1932) .
La certezza assoluta però è stata solo recentemente raggiunta con la scoperta presso l’archivio di stato di Bergamo dell’atto notarile redatto il 15 marzo 1692 dal notaio Giorgio Guarini che ufficializzò l’acquisto del terreno della Vena con queste parole:
“Santo Blesio et Vincenzo suo fratello a titolo di dato et libera vendita hanno dato et venduto, danno et liberamente vendono per libero et finito mercato con la traslazione di dominio al S.r Bartolomeo Manni fu Andrea capo maestro d’intagliapietra in Gazanica oriondo del stato Luganese ivi presente et accetante per sè et suoi heredi nominatamente di una pezza di terra prativa arativa boscaliva et corniva posta sopra il Comun Consilio de Honio di Gazanica in contrada detta volgarmente nella Vena…con patto et conditione che detto Bartolomeo Manni et successori suoi possa et volia a suo compiacimento et senza alcuna contraditione scavare pietre, profondarsi et allargarsi dentro detti confini…et valersi del pezzo di terra sassiva rimastagli a mezzogiorno parte sino alla strada Comune per votare la Vena et empire detto pezzo di terra a suo compiacimento…”.
Come si vede questo documento fornisce più informazioni. Il terreno è stato acquistato per chè c’era la cava; infatti in parte è cornivo, vale a dire che comprende almeno un rilievo roccioso che ora risulta asportato dalla secolare escavazione. La pezza di terra è a forma di rettangolo lungo 22 cavezzi (circa 50 m) e largo 12. Il pezzo aggiunto consentiva l’accesso alla cava dalla strada comunale e il deposito dello scarto.
Non si fa menzione invece del fabbricato, cioè del “Caslì” o casello di deposito e manutenzione attrezzi, mentre vi si era accennato nel testamento del 1827, ma essendo quella struttura assolutamente indispensabile, è facile ipotizzare che sia stata costruita dallo stesso Bartolomeo quando iniziò lo sfruttamento sistematico.
Da altri atti di acquisto risulta che anche due figli di Bartolomeo, Carlo Antonio e Gian Giacomo divennero proprietari di altre tre pezze di terra in località “Gèlem”, nei pressi della Vena “sopra la Vena sotto Orezzo”, evidentemente per ingrandire la cava.
Il marmo nero dunque stava assumendo una grande importanza, sia per la qualità del prodotto, sia per la quantità, diffuso com’era in tutta la provincia specialmente nel periodo di massima operosità che è quello che vide protagonisti i quattro figli di Bartolomeo, Andrea, Pietro Giacomo, Carlo Antonio e GianGiacomo, detti comunemente i fratelli Manni, il periodo che va dal 1710 circa alla metà del ‘700.
Dimostrata l’importanza dell’identificazione del giacimento di questa pietra preziosa, come la chiamò il poeta G.B.Angelini nel 1720, si impongono alcune considerazioni. Lasciamo le cose come prima? O non è il caso di pensare un piano di valorizzazione di questo luogo?
Ma chi deve provvedere?
Non sembra fuori luogo pensare ad una Commissione composta da esperti, da rappresentanti del Comune, da cittadini motivati, che proceda ad un progetto che parta dall’individuazione di obiettivi operativi, quali a titolo di esempio la creazione di un luogo o di un’area di interesse storico nei pressi della cava, la ristrutturazione del sentiero di accesso, che è la “strada comunale dei Peracchi”, la pubblicazione di un volume di approfondimento sugli scultori Manni, la creazione di un museo dei Manni, per il quale si è dichiarato disponibile un discendente del ramo collaterale dei Corna, che offrirebbe i locali necessari della casa Corna in Via Manzonli, 23. E così via.
Non è pensabile lasciare nell’oblio un capitolo così importante della nostra storia, che non è solo storia di personaggi, ma anche di cave, di segherie del marmo, di magli, di botteghe, di lavoranti, di relazioni con altri artisti; è la storia dell’arte, di ben 460 opere, tra altari, balaustre, statue, bassorilievi, lavelli, portali, acquasantiere, tabernacoli, pulpiti, ancone, edicole, sparse su tutto il territorio provinciale. Una storia che supera gli stretti confini di un paese, per interessare un pubblico di appassionati assai più esteso.
Angelo Bertasa




