Orezzo è una bella località posta a 680 metri sul livello del mare, sopra il paese di Gazzaniga di cui costituisce una graziosa frazione. Le sue origini si perdono nel tempo, ma pare che già nel sesto secolo a.c. sia stato visitato dai Galli Cenomani e dagli Orobi e nel periodo tardo-romano, circa nel quinto secolo, abitato dai romani. Data la sua posizione elevata rispetto al fondovalle ha subìto poche incursioni barbariche e, addirittura, non è stato interessato dai sanguinosi scontri tra Guelfi e Ghibellini, che invece imperversavano nella valle.
La sua vocazione, data la felice esposizione con il versante rivolto verso sud che domina tutta la valle, è sempre stata improntata alla pastorizia e all’agricoltura e la vita sociale si è sviluppata nel segno di una grande amicizia e rispetto, poiché molti dei suoi abitanti sono legati da vincoli di parentela. Lo testimoniano ancora oggi i pochi, ma diffusi, cognomi delle famiglie che abitano questa amena località. Forse per queste peculiari caratteristiche il paese è unito, gli abitanti solidali fra di loro, mentre i luoghi sono ricchi di vecchie abitudini e tradizioni tramandate nel tempo. La via Leone XIII, la più importante della frazione, conserva numerose testimonianze di un tempo: le belle e vecchie case contadine con i balconi in legno rivolti a sud, per l’essicazione dei cereali, vera architettura contadina; una grande cisterna interrata ancora funzionante con lo sportello rivolto proprio sulla strada dove probabilmente potevano avere accesso gli abitanti della contrata; una casa con una bella architrave lavorata e incisa la data del 1790; la piccola e graziosa chiesa originaria, ancora un ottime condizioni; e le case che costeggiano la via, che costituiscono una curiosità. Queste, infatti, oltre ad avere il numero civico posto sull’entrata, hanno anche un nome. Sì, proprio un nome (o un soprannome) che incuriosisce i passanti. Così, troviamo la Cà de Nato, la Cà de la Magra, la Cà de Vico, la Cà de’ Tone mane, la Cà dùl Braghì, la Cà di Segrestà e la Fontana de’ Mafé. Tutti nomi riferiti ai loro abitanti, che un tempo venivano identificati con lo “scotom”, o soprannome. Un curioso e antico vezzo rimasto nella contrada.
Oltre a questa particolarità, Orezzo conserva anche un’antica tradizione, come la “festa del sole”, che si celebra in località Catabione (Catabiù). Qui, infatti, il sole scompare dal 4 dicembre e ricompare solo il 2 febbraio, dopo aver scavalcato il Trebulì de Ganda. La tradizione vuole che la festa sia allietata da un buon piatto di gnocchi fatti in casa. Interessante è pure la festività di Sant’Antonio Abate, protettore del paese, che cade il 17 gennaio e che conserva tradizioni come i riti religiosi e l’incanto dei prodotti locali che si tiene sotto i portici della chiesa.
Fino all’inizio del secolo scorso la popolazione era quasi autosufficiente, in quanto coltivava i cereali sui prati terrazzati, che macinava sia con un mulino grande sia con uno piccolo, portatile, che girava di casa in casa; poi, c’era la vigna che si estendeva per circa un chilometro in lunghezza, appena sopra il paese, e che veniva “vinificata” sul posto, con l’aggiunta di vino più forte per aumentare la gradazione e renderlo più corposo.
Non mancavano gli alambicchi che procuravano la grappa con il resto della vignagione e della frutta; come pure la verdura negli orti, posti di fronte alle case.
La località ha pure una bella chiesa del 1585, il cimitero, un bar-ristorante-pizzeria, un campo di calcio, una Proloco, un ambulatorio medico, società sportive e, fino a qualche decennio fa, la scuola, poi trasferita a Gazzaniga. C’era pure il Municipio, fino al 1927 data dell’unificazione amministrativa con Gazzaniga.
Un luogo ameno, ricco di fascino, di storia e di rurale architettura, con l’aggiunta di tradizioni mai sopite dal tempo che lo rendono interessante anche sotto l’aspetto antropologico. Un luogo non a caso definito: “Il balcone di Gazzaniga”.
Angelo Ghisetti









