Si fa sempre più attiva e dinamica la presenza sul territorio della Val Seriana e, più in generale, della Bergamasca, del Circolo Culturale “Insieme per Cene”, un’associazione culturale-ricreativa che da nove anni promuove in paese e sul territorio seriano attività culturali, sociali, ricreative e sportive. Nell’ambito delle sue diverse iniziative, i soci del circolo, guidati da Lorenzo Correnti, presentano alla comunità il nuovo libro di Rosa Peracchi, dal titolo “Vita e nomi d’altri tempi. Toponimi del territorio di Cene”. Ormai, è la quinta fatica di Rosa Peracchi, presentata la scorsa settimana, in collaborazione con il FAI di Bergamo. Nell’occasione, il FAI ha invitato iscritti e simpatizzanti a visitare Cene ed i luoghi illustrati nella pubblicazione, attraverso percorsi, corredati da guide messe a disposizione dal circolo stesso, con partenza dal Municipio, peraltro dopo un momento di benvenuto ai partecipanti, presso la sala consigliare, alle 15.
A corredo, il circolo ha allestito per la visita la mostra fotografica “Cene ieri e oggi”.
Il “quaderno” di Rosa Peracchi è molto interessante. Del resto, ogni paese ha una propria cultura ed indagare su di essa porta alla scoperta di fatti, eventi, nomi che, se analizzati, aiutano a capire la storia della comunità. La ricerca riguarda la riscoperta di toponimi nati da un legame intrinseco con il territorio. Riscoperta, perché i nomi, in un passato nemmeno troppo lontano, erano di uso comune; ma il lento e inesorabile declino del dialetto bergamasco ha trascinato nell’oblio anche l’uso e la conoscenza di questi nomi che sono stati riferimento per generazioni. Leggendo il “quaderno”, quindi, si ritorna alle origini del paese, alle sue vicende e difficoltà incontrate prima di diventare un’unica comunità. Infatti, per lungo tempo Cene è stata divisa in due comuni: Cene di Sopra e Cene di Sotto, che facevano parte di due diversi distretti amministrativi, uno appartenente alla Val Gandino ed uno alla Valle Seriana Inferiore.
Il libro inizia con l’analisi del centro abitato, alla riscoperta di luoghi e strutture che per lungo tempo sono stati punti di aggregazione e luoghi di appartenenza alla comunità. Poi, il territorio. Ecco, le valli: oltre alla più importante Valle Rossa, il territorio offre 12 valli minori; le sorgenti naturali, i cosiddetti “fontanì”, una quindicina; le fontane che abbellivano il paese, che erano ben sette; i pozzi, da cui si attingeva acqua per le abitazioni. Profonde narrazioni, poi, sulla Valle Rossa ed il Monte Bò, con un quadro degli ambienti in essi incastonati.
Il “quaderno” fa riscoprire il valore del “percorso pedonale”, che in passato era modalità primaria di mobilità e di collegamento fra le contrade e le frazioni del paese. Attenzione anche alle varie edicole votive, i crocifissi, le santelle, poste lungo i percorsi pedonali, che stanno ancora a testimoniare l’importanza che rivestivano i sentieri e che facilitavano nel viandante quell’attimo di riflessione che lo ricaricava nel prosieguo del suo cammino. Il viandante spesso si fermava per un segno di croce o una preghiera, depositandovi un fiore di campo ivi raccolto. Era la manifestazione più semplice e genuina della fede cristiana. Spesso le santelle posizionate nelle strade di campagna erano punti di riferimento per particolari cerimonie religiose come le Rogazioni, che venivano celebrate in determinati giorni dell’anno o in particolari situazioni.
Approfondimenti, poi, ai vecchi toponimi, che avevano il pregio dell’immediatezza. “Ne pronunciavi il nome, “Spigla, Siglàt” e l’interlocutore già individuava il luogo senza giri di parole e senza interlocuzioni aggiuntive – si legge nella prefazione – La nostra epoca ha anche tentato di storpiarli. Il Monte Bue all’origine era Mut Bò che nella terminologia celtica, da cui deriva, sta ad indicare “pascoli in altura”. L’autrice ne ha individuati ben170, a significare come i nostri antenati avevano mappato idealmente il territorio, in modo puntuale, quasi più delle autorità preposte”.
Da ultimo, il “quaderno” offre quattro significative esposizioni: i Mulini di Cene, la Chiesa di San Rocco, quella di Sant’Antonio, il Cimitero Nuovo, che stanno ulteriormente ad indicare il tortuoso, ma pur sempre appagante, percorso della comunità nella costruzione della propria identità.
“È doveroso riconoscere all’autrice una grande tenacia – continua la prefazione – Il lavoro di ricerca, infatti, è iniziato nel laboratorio scolastico, insieme ai suoi alunni, a partire dal lontano 1984 per riprenderlo e arricchirlo nel corso degli anni. Non solo fonti orali, ma anche fonti scritte, come antichi catasti ed atti notarili. Compendio a futura conservazione della memoria del paese”.
Come detto, il “quaderno” è il quinto lavoro pubblicato dal circolo. In precedenza: La Madunina (Una Comunità in Festa), I Partigiani di Cene (Noi Fummo Combattenti), San Zenone di Cene (Cultura, Arte e Storia di una Comunità), Bù cóme ‘l pà (Antiche ricette della nostra cucina tradizionale).
L.C.