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Testimonianze allarmanti dall’Etiopia, a cura dell’Associazione Costruiamo Ponti con Viviana

23 Marzo 2021
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Testimonianze allarmanti dall’Etiopia, a cura dell’Associazione Costruiamo Ponti con Viviana
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La nostra associazione – Costruiamo Ponti con Viviana onlus – è legata a quella terra grazie all’opera di volontariato che vi aveva iniziato Viviana Signori. Vogliamo ora rompere il silenzio assordante sul conflitto in atto nella regione del Tigrai, nel nord Etiopia, e far conoscere la grave situazione umanitaria di cui sono testimoni gli amici che laggiù operano e che ci hanno scritto: suor Abreht, superiora delegata delle suore Orsoline di Gandino in Etiopia e padre Ermanno, dei Salesiani di Adigrat. Ci hanno raccontato, dopo tre mesi di silenzio per blackout comunicativo, i gravi eventi che hanno colpito la regione. Ascoltiamoli …

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La testimonianza di Suor Abrehet Kahsay.
Dalle due comunità delle Suore Orsoline nel Tigray, ad Adigrat e a Wukro, per circa due mesi non è pervenuta alcuna notizia. Sr Abreht ci dipinge un quadro desolante: sono stati uccisi trenta preti Ortodossi riuniti in chiesa per la preghiera; sono state saccheggiate anche missioni cattoliche; quella del Vescovato Cattolico di Adigrat, quella dei padri Bianchi, quella delle suore figlie di S.Anna e di S.Lucia Filippini. E’ stata portata via o distrutta ogni cosa. Anche a Wukro, missione ove ha a lungo operato Viviana e con la quale siamo in stretto contatto, sono passati i ladri. Sono stati uccisi in tanti, giovani e meno giovani, strappandoli alle loro case; molte donne hanno subito violenza, alle famiglie è stato proibito di seppellire i propri cari. La povera gente, nella zona di Alitiena, è scappata verso le montagne a mani vuote…. La popolazione Irob sta morendo di fame. Si dice che un gruppo di soldati abbia l’ordine di uccidere i maschi al di sopra di sei anni. Sono eventi che mettono a dura prova la fede e la fiducia in un Dio provvidente.

La testimonianza di padre Ermanno
Anche il suo resoconto conferma ed aggiunge dettagli desolanti. Tra il 3 e il 4 novembre 2020 la sua comunità è svegliata in piena notte da colpi di fucile e mitraglia quando la vicina base militare dell’esercito etiopico, situata a un km dalla missione, viene occupata dalla milizia tigrina, il Fronte Nazionale Popolare di Liberazione del Tigrai (TPLF). I militari dell’esercito etiopico sopravvissuti vengono costretti a lasciare mogli e figli e non viene loro concesso alcun approvvigionamento alimentare. Provenienti da tutta l’Etiopia per più di vent’anni hanno protetto il popolo tigrino, hanno sposato donne tigrine e lì hanno costruito il loro futuro. Vengono allontanati, fatti prigionieri, mogli e figli lasciano il campo militare e si spostano a piedi verso i villaggi di origine, in cerca di ospitalità da parenti. Sono scene di tristezza profonda. Nel frattempo la rete internet è disattivata (e lo sarà fino a fine gennaio). Ospedale, uffici e banche chiusi. La sveglia ogni mattina è data dai colpi di artiglieria. Lo scontro tra TPLF ed esercito etiopico si fa sempre più poderoso; si può intuire che l’esercito etiopico stia avanzando. La sera del 19 le suore, impaurite, passano la serata dai salesiani e riferiscono che l’esercito eritreo sarebbe già entrato in città. Eritreo? Ma non doveva essere l’esercito etiopico? Si domanda padre Ermanno … “Abbiamo visto la morte, in spirito di abbandono e senza lasciarci mancare un po’ di ironia; sì, quando la probabilità di morire si fa vicina, ci si affida a Dio, ci si fa coraggio, si tiene in mano la corona del Rosario e… si scherza”. Calato il buio della notte, solo le pareti delle montagne si ergono illuminate dalle torce dei presidi militari: ma ahimè, non sono soldati etiopici. E’ l’esercito eritreo, quello che da più di vent’anni aspetta vendetta contro il Tigrai, ad aver guidato l’attacco e ad entrare in città con furia. Delinquenti derubano ogni cosa, mentre i soldati eritrei risolvono il problema a fucilate. Banche ancora chiuse, sospeso ogni servizio sanitario. Dopo 28 giorni dall’attacco eritreo, venerdì 18 dicembre, viene ripristinata l’elettricità. Il giorno di Natale, in città, soldati eritrei sorvegliano i punti cruciali. Sguardo serio, nessuna parola. Mentre soldati etiopici, che nel frattempo sono arrivati in gran numero, salutano cordialmente. Ovunque soldati eritrei saccheggiano. Famiglie benestanti della città vengono eliminate così come molti giovani, arbitrariamente. Ancora niente rete e ospedale chiuso. Isolati dal mondo e anche dal resto dell’Etiopia. In cattedrale il vescovo e i preti diocesani si difendono dai saccheggiatori lanciando pietre. Tutta la fascia di paesi e città dal confine eritreo fino a Macallè (circa 150 Km) da più di un mese è sotto saccheggio da parte di un esercito straniero, quello eritreo. Al 31 dicembre nella zona tra Adigrat e Macallè attività lavorative ancora sospese, banche chiuse e ospedale aperto solo per emergenze. La gente non può né lavorare né prelevare i propri risparmi dalla banca, quindi manca cibo e denaro. All’11 febbraio, a cento giorni dall’inizio della guerra, in tutto il Tigray sono morti almeno 52.000 civili includendo bambini, donne, giovani, anziani e guide religiose. Università e scuole sono devastate, nulla è rimasto. Gli ospedali sono ridotti al minimo e molti centri religiosi (chiese e monasteri ortodossi, moschee) sono stati violati. Si susseguono uccisioni arbitrarie, violenze su donne (anche sulle tre ragazze presenti nell’orfanatrofio delle nostre suore nella missione di Wukro). Migliaia di persone stanno lasciando il Tigray verso altri paesi o zone dell’Etiopia. La fame si sta diffondendo a macchia d’olio, mentre internet è ancora interdetto, rendendo difficile il contatto con il resto del mondo. La regione del Tigray ora è senza amministrazione, senza ordine e legge. Impianti industriali, commerciali e sanitari sono distrutti. La gente cerca di sopravvivere ma è senza lavoro, senza salari, senza sistema bancario, senza scuole. E di tutto questo nessuno parla.
Le testimonianze sollecitano tante domande … Quali sono le cause del conflitto? Qual è la situazione sul piano degli aiuti umanitari? Quali infine le prospettive?

Le ragioni
I motivi di questa guerra, giustificata dal governo etiope come semplice ripristino di legalità, vanno forse ricercate nella storia violenta dell’Etiopia degli ultimi decenni e nella personalità di Abiy Ahmed, capo del governo e premio Nobel per la pace nel 2019. L’etnia tigrina conta solo il 6 per cento degli abitanti del paese (100 milioni) ed è rappresentata dal partito TPLF che ha sempre ricoperto un ruolo determinante nel governo del Paese. Ora, dopo l’arrivo al potere di Abiy, di etnia Oromo, è stata progressivamente messa ai margini del potere.
La personalità e le scelte politiche del primo ministro sembrano essere il secondo elemento della crisi. Dopo aver avviato un percorso di distensione e pacificazione nel paese si è opposto con ogni mezzo alle forze centrifughe delle diverse etnie presenti che minacciano l’unità dell’ex impero. Per questo non ha disdegnato il “soccorso” dell’Eritrea, pronta a vendicarsi dei Tigrini sotto cui sottostava prima dell’indipendenza nel 1991. Nè il governo etiope né quello eritreo hanno riconosciuto le atrocità denunciate da testimoni e da Amnesty International e riconosciute come attendibili dall’ONU (4 marzo 2021), come quelle nella città santa di Axum a fine novembre. Tutto ciò lascia presagire un conflitto prolungato. Nel frattempo i paesi della regione rischiano di essere trascinati in questa guerra civile, a cominciare dalla vicina Eritrea e Somalia, dove sorgono già alcuni campi profughi con almeno 61.300 persone.
Ecco perchè quella in corso è una tragedia non solo per l’Etiopia ma anche per il resto dell’Africa. Tutto il paese è da ricostruire e, nonostante i miglioramenti registrati sul piano umanitario nelle ultime settimane e le grandi quantità di aiuti alimentari spediti verso il Tigray, è necessario un monitoraggio migliore per garantire che gli aiuti accedano senza ostacoli e raggiungano i più bisognosi. Se già prima nella regione 950.000 persone avevano bisogno di aiuto ora si sono aggiunti altri 1.300.000 indigenti.
Noi dell’associazione Costruiamo Ponti con Viviana onlus ci rendiamo conto di come un lavoro di aiuto svolto per anni, a partire da quello fatto laggiù di persona da Viviana, possa andare in fumo nel giro di qualche mese. Per una delle due zone in cui siamo impegnati, quella di Wukro proprio nel Tigray, i microprogetti, i piccoli progressi fatti fino ad oggi, le prospettive, tutto pare saltato. Ma è proprio ora che la nostra attività micro può essere utile, sia per far conoscere qui da noi la situazione in quell’angolo d’Africa, sia per dare una mano concreta a quelle persone.
Associazione Costruiamo Ponti con Viviana onlus
www.ponticonviviana.it

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