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Sant’Ippolito e “ol gran tenur” nel centenario della morte di Federico Gambarelli

10 Novembre 2022
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Sant’Ippolito e “ol gran tenur” nel centenario della morte di Federico Gambarelli
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In occasione del centenario della morte del grande tenore albinese Federico Gambarelli Monsignore (1858 – 1922), che nel 1911 donò alla parrocchia di Gazzaniga l’armatura di Sant’Ippolito e nel 356mo della traslazione della reliquia dalle catacombe romane, la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Gazzaniga, guidata dalla Presidente Luisa dal Bosco, ha organizzato per domenica 16 ottobre una rappresentazione teatral – poetica dal titolo “Sant’Ippolito e Ol Gran Tenur”.

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Sono intervenuti gli attori Franca Mismetti e Luigi Gandossi con alcuni stralci della commedia dialettale “Ol Gran Tenur” che portarono a Gazzaniga il 28 novembre 1971, in occasione del 60esimo della donazione; la poetessa e scrittrice Aurora Cantini con alcune letture dal libro “Una voce dimenticata”; la presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso Luisa Dal Bosco con alcune esplicazioni di Angelo Ghisetti sui Manni marmisti e scultori a Gazzaniga, che realizzarono l’altare del santo, tutto in pregiato marmo nero di Gazzaniga.

Sant’Ippolito, Vescovo e Martire, venne condannato ai lavori forzati nelle miniere di metallo in Sardegna su ordine dell’imperatore Massimino, dove morì il 13 agosto dell’anno 235; fu legato per i piedi al collo di un cavallo e trascinato fino alla morte. ll suo corpo venne sepolto nelle Catacombe Romane, lungo la via Triburtina, oggi inglobate nel Cimitero, detto anticamente “Campo”, del Verano. La sua devozione a Gazzaniga risale al 1666, quando, con solenne cerimonia, tale Giacomo Gelmi, commerciante di panni lana originario del paese che aveva fatto fortuna a Venezia, donò alla comunità le ossa del Santo, traslate dalle Catacombe di Roma.

Durante gli anni di esibizioni nei teatri di tutto il mondo, il Tenore Gambarelli ricevette tantissimi regali preziosi e numerosi costumi di scena. In particolare spiccava anche una bellissima montura (una divisa militare completa di tutti gli accessori) tutta in argento massiccio, in stile medievale e tutta snodata, che gli era stata regalata dai suoi fans in America Latina, e che Gambarelli indossò per la prima volta presso il Teatro Regio di Malta nel 1893, quando interpretò il Crociato Oronte nell’opera “I Lombardi alla prima Crociata” di Giuseppe Verdi. Una volta ordinato sacerdote nel 1898, Gambarelli la donò al suo amico di studi don Giacomo Bianchi, parroco di Gazzaniga, per vestire lo scheletro di Sant’Ippolito. Lo stesso fece con altre parrocchie di Bergamo e fuori provincia, a cui donò molti suoi cimeli di scena, corazze, armature e corone, per vestire i santi patroni o la Vergine Maria.

Il Grande Tenore Federico Gambarelli fu un personaggio istrionico e carismatico di fama internazionale, che mandava in visibilio le folle come una vera e propria rock star. Nato ad Albino il 5 maggio 1858, visse a Nembro Piazzo e Selvino, e calcò le scene teatrali di tutto il mondo in soli 13 anni di sfolgorante carriera. La sua epopea si snoda, non senza colpi di scena, fra le due vocazioni che scandiranno la sua breve ma intensa vita: il richiamo del sacerdozio e il fortissimo desiderio di cantare. Gambarelli fu l’uomo che nel 1887 a Pisa, con una grande interpretazione, portò al successo l’opera al debutto “Le Villi” di Giacomo Puccini. Ebbe in repertorio ben 47 opere liriche ed era capace di passare facilmente dal dramma all’opera leggera, alla romanza, alla tragedia o alla musica sacra. Sapeva trasformarsi nei personaggi più diversi, ora Otello, o Manrico nel Trovatore, ora Radames o Mefistofele scatenando veri e propri episodi di fanatismo nel pubblico. Giunto al clou di una folgorante carriera, l’”incontro” casuale, in Messico, con la Madonna di Guadalupe, patrona dell’America Latina, nonché la profonda devozione che ne seguirà, segneranno definitivamente le sorti della sua esistenza, inducendolo a ritirarsi dalle scene per dedicarsi alla vita ecclesiastica nella sua terra natale e che lo porteranno a diffondere il culto della Madonna di Guadalupe in tutta Italia, fondando anche l’omonimo santuario ad Albino.

Don Giacomo Bianchi lo voleva tutti gli anni a condecorare con il suo canto la Festa del Patrono. Il 13 agosto 1920 la sua ancora potente voce rese ancora più solenne la festa del Patrono. Fu l’ultima sua esibizione pubblica a Gazzaniga, l’ultimo suo Canto di Cigno. Da quel momento si ritirò nel suo Castello di Selvino. A fargli compagnia, anche in quegli ultimi mesi, il suo grande amico e coscritto Giacomo Puccini; da poco aveva dato inizio all’ultima sua opera, la Turandot, e sperava di poter avere ancora il suo amico Federico nel canto detto “Nessun dorma”, il Lamento dolente del Principe di Calaf per la sua Principessa di ghiaccio, la Turandot. Ma entrambi non riuscirono a vedere l’opera compiuta. Gambarelli se ne andò a 64 anni, nella sua casa di Albino presso il suo santuario, per una polmonite, alle ore 14 del 5 giugno 1922, dopo una lunga e dolorosa agonia. Giacomo Puccini, colpito da un male incurabile alla gola, lo seguì due anni dopo, senza avere potuto terminare la Turandot.

Questo filo della Memoria, avviato nel 2018, in occasione del 160esimo della nascita di Gambarelli e di Puccini, con il libro che ne racconta le gesta e l’epopea, attraverso numerose fotografie e testimonianze, aneddoti e ricordi dei discendenti, documenti originali messi a disposizione dalla famiglia, dal titolo “Una voce dimenticata” curato da Aurora Cantini per il Centro Studi Valle Imagna, trova oggi, nel 2022, il giusto completamento attraverso il ricordo di questo importante centenario.

Aurora Cantini

 

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