Un progetto di ricerca dei toponimi di Cene (continuazione del 1º itiberario)
La ricerca sul campo, che occupava i ragazzi due ore pomeridiane alla settimana, andò sempre più sostenendo la loro motivazione che era uno degli obiettivi nella programmazione del progetto.
Il gruppo composto da una decina di ragazzi dimostrava insomma interesse e voglia di proseguire. Nella stessa Via Fanti, andando verso il centro, essi furono incuriositi dalla vista di una casa con vecchi muri a scarpata, e furono sorpresi di sapere che quella costruzione risaliva al medioevo, era abitata da una famiglia nobiliare e quindi fortificata, detta ‘casa forte’ o ‘casa turris’. Anche a Cene dunque a quel tempo il regime feudale generava una sorta di gara fra le famiglie a chi aveva la torre più forte e più alta, segno di distinzione e di maggior prestigio, oltre che funzionale alla difesa.
Si era al confine tra Cene di Sopra e Cene di Sotto, dove un ponticello sul torrente ‘Doppia’ attirò l’attenzione e qualche alunno volle saperne il nome e la funzione. Fu loro spiegato che il ‘Put dol Tórcc’ voleva dire ponte del torchio, macchinario che funzionava nella vicina casa detta anch ‘essa ‘ca’ dol Tórcc’. Il torchio serviva per la spremitura dell’uva ed era un punto di riferimento per molti contadini del Comune rurale che riservavano parte delle loro terre al vigneto, le cosí dette allora “terre vitate”, cioè coltivate a vite, alternate alle ‘terre vanghive’ destinate alla coltivazione di cereali. Al tempo dei Comuni molti statuti prevedevano la consegna dell’uva alla cantina comunale dove un incaricato del Comune procedeva alla vinificazione e alla vendita del vino.
Dal ponticello del Torchio il gruppo scese a osservare il lavatoio pubblico, l’unico conservato in paese. In dialetto si diceva “ol laandére” dove le lavandaie si incontravano per lavare i panni, per stendere la biancheria ad asciugare su un vicino prato e per … scambiare quattro chiacchiere naturalmente, da vere “comàr” che sapevano tutte le ultime notizie del paese e di ogni paesano e le diffondevano con la velocità… degli zoccoli, per cui il ‘…servizio’ veniva chiamato “radio spèl” (spèl = zoccolo).
Chiusa la parentesi…Poco dopo il ponticello qualche alunno notò su un edificio a sinistra una data scolpita nella massiccia pietra di chiave dell’arco di un portale. Dati i caratteri antichi, gli alunni dovettero chiedere agli insegnanti di decifrare quel numero, che era 1494. Cosa può significare quella data? E gli insegnanti: “Due anni prima era terminato il Medioevo e, tramontato dal 1428 il vecchio regime feudale con la dominazione della Repubblica Serenissima di Venezia, le famiglie si sentirono più libere e migliorarono le condizioni economiche intraprendendo nuove attività produttive anche nel settore secondario e nei commerci. Poterono così costruire abitazioni fuori del borgo antico, più confortevoli e esteticamente più eleganti e signorili, alcune delle quali recavano lo stemma di famiglia sul portale.
Giunti all’angolo con Via S. Zenone, venne loro spiegato che la casa detta “a la scalèta” ospitava già dal 1870 circa una delle prime classi delle scuole elementari comunali, frequentata anche dal bravo futuro Don Davide Mosconi di cui si è parlato (v. E. Poli, pag. 179). A quel tempo i Comuni non avevano edifici scolastici e adattavano ad aule locali presi in affitto riscaldandoli con stufe a legna…Ma non tutti i bambini assolvevano l’obbligo di frequenza anche se era solo previsto fino alla seconda elementare, o frequentavano solo per pochi mesi invernali, dovendo lavorare nei campi negli altri mesi.
Percorrendo Via S. Zenone il gruppo arrivò, prima del ponte della chiesa parrocchiale, alla casa che aveva sul portale lo stemma raffigurante un leone marciante sul ponte. Era “ol Mülì dol Massieri” che funzionava con l’acqua di un canale ricavata dal torrete Doppia ed era il secondo mulino del paese. Si attraversava questo canale con una passerella che permetteva l’accesso alla località “Roncàia”, ora Via Enrico Fermi. Sotto la nuova rotonda si possono ancora intravedere i resti del ponte vecchio.
– Com’è cambiato questo luogo! – esclama un alunno. Ma perchè si chiamava Roncàia? Il toponimo deriva da “roncà” che significa scavare terreni, solitamente in pendenza, e disporli a ciglioni (o a terrazze) per renderli più produttivi e atti al tempo stesso ad aggiungere la coltivazione della vite nelle fasce inclinate tra un ripiano e l’altro. Questi luoghi si chiamavano anche “terre ripate” o “terre runchive”, in dialetto “i ruc”.
Passando vicino alla chiesa parrocchiale è interessante sapere dalle ricerche di E. Poli che nei sotterranei della sacrestia durante gli scavi del 1962 fatti per l’impianto di riscaldamento furono rinvenuti moltissimi scheletri umani, poichè anticamente il cimitero era sotto la chiesa, completato da un’ area cimiteriale vicina. Con l’editto di Napoleone del 1805 i cimiteri dovettero essere costruiti lontano dai centri abitati.
Inoltre si scoprirono muraglie sotto il campanile che fecero pensare alla base della torre di un castello del tempo dei re Carolingi. Questo castello comprendeva anche la cappella prima della costruzione di una nuova chiesa che figura consacrata nel 1142 dal vescovo Gregorio. Questa nuova chiesa fu ingrandita come la vediamo ora nel 1750 .
– Perché oltre alla chiesa anche una via è dedicata a S. Zenone? – Viene spontanea un’altra domanda. Risposta. Questo santo vescovo di Verona, vissuto nel sec. III d.Cr. e morto martire nel 302 sotto Diocleziano, durante uno straripamento del Fiume Adige salvò molti Veronesi ospitandoli in chiesa e siccome erano frequenti a Cene le inondazioni del Fiume Serio fu invocato S. Zenone perché proteggesse la popolazione e i campi e fu scelto addirittura come patrono della parrocchia. Per la sua importanza anche il Comune intitolò a questo santo la via che conduce dal Municipio alla chiesa parrocchiale.
In basso, vicino alla confluenza del torrente Doppia con il fiume Serio, una piccola area veniva chiamata “i salècc dol Preòst” che può voler dire zona di felci da ‘falècc-halècc-salècc che significa felceto. Ma è più probabile che derivi da saliceto, visto che vi si trova ancora qualche esemplare di salice bianco (salix alba), protetto e diffuso lungo il fiume Serio. Si veda anche la Via Salici di Gazzaniga che corre parallela al Serio e vien detta in dialetto “i salècc”.
Davanti alla chiesa, a ovest e a sud, l’ampia zona pianeggiante detta “la Nesca” era coltivata a cereali fino al dopoguerra.
Per oggi abbiamo imparato tante cose. Alla prossima uscita. “Sarebbe bello se la scuola fosse sempre così!” esclama un alunno.
Angelo Bertasa






